Calcio

Paulo Fonseca oltre la gaffe dei 6 cambi: quali sono i suoi meriti che rendono sensata la scelta del Milan

La scena è stata mandata in onda talmente tante volte che ha finito per diventare un classico. Sulla sinistra dello schermo Lorenzo Pellegrini grida in direzione del team manager della Roma Gianluca Gombar. “Gianlù – spiega contando gli uomini con l’indice – è il sesto. Gianlù, quello, è il sesto”. È un concetto che il capitano ripete per ben cinque volte. Sotto lo sguardo anestetizzato del suo allenatore. Non è un dettaglio di poco conto. Perché quell’incomprensione passerà alla storia. È il 19 gennaio 2021 e la Roma di Paulo Fonseca sta giocando contro lo Spezia negli ottavi di finale di Coppa Italia. I tempi regolamentari sono finiti sul 2-2, così al quinto della prima frazione supplementare il mister, viste le espulsioni di Mancini e Pau Lopez, decide di mandare in campo Fuzato e Ibanez. C’è solo un piccolo dettaglio. Il difensore chiamato a prendere il posto di Pedro è di fatto il sesto cambio della Roma. I giallorossi perdono 2-4 e vengono eliminati. Poi arriva la parte peggiore. L’eccesso di sostituzioni viene punito con una sconfitta a tavolino.

È una scena talmente surreale si trasforma in un assoluto, un’etichetta appiccicata a vita sulla schiena di Fonseca. Con il chiaro intento di inzimbellirlo, di trasformarlo in barzelletta. Quel video diventato virale ha finito per sovrascrivere i meriti accumulati in carriera da un allenatore che, in realtà, è molto serio e scrupoloso. Soprattutto quando c’è di mezzo il calcio. A 51 anni compiuti la parabola di Fonseca è quella di un uomo arrivato dalla periferia che non è ancora riuscito a diventare centro. Ora però il ragazzino partito da Nampula, Mozambico, ha la possibilità di centrare il suo obiettivo. Perché gli è stato chiesto di prendere il Milan e di trasformarlo. Da delusa dell’ultima Serie A a dominatrice del campionato che verrà. Tutto con una bacchetta magica e qualche acquisto sul mercato.

La scelta del Diavolo di affidare la panchina a Fonseca non è stata accolta con giubilo dai tifosi rossoneri. Eppure potrebbe rivelarsi estremamente sensata. Per prima cosa perché il tecnico portoghese è un ayatollah del 4-2-3-1/4-3-3. Almeno sulla carta. Una delle caratteristiche più importanti del gioco di Fonseca, infatti, riguarda l’uso dei terzini, che devono essere alti e aperti, in modo da creare una superiorità numerica a centrocampo e partecipare attivamente alla fase di palleggio e costruzione del gioco. Non a caso nel primo anno del portoghese alla Roma, Kolarov era diventato un regista ombra, l’uomo che partendo da una posizione larga sulla fascia permetteva di sviluppare la manovra. Un ruolo che, nel Milan, sarebbe di competenza di Theo Hernandez (se il club riuscirà a resistere alle sirene di mercato).

Fermo restando la qualità assoluta (soprattutto per gli standard italiani) dei trequartisti che il mister potrà schierare in campo, molto dipenderà dal profilo che il Milan sceglierà come erede di Giroud. Fonseca ha dimostrato di poter modellare bene il suo gioco sia intorno a una prima punta come Dzeko, che con i suoi piedi da trequartista incastrati sotto a un fisico da pivot si era trasformato nel regista offensivo della squadra, sia intorno a uno più rapido e capace di attaccare la profondità come Jonathan David (26 reti e 9 assist in tutte le competizioni quest’anno). Ci sono tre parole che Fonseca ha utilizzato spesso per descrivere il suo modo di intendere il calcio. E sono: coraggioso, ambizioso e offensivo. O, come ha detto un’altra volta, punta a costruire “uno stile di gioco che ci permetta di dominare gli avversari”.

La determinazione è un’altra componente essenziale. In una vecchia intervista il tecnico aveva dichiarato di essersi sentito “molto triste” dopo una vittoria della sua squadra arrivata al termine di una brutta prestazione. “A me non basta solo vincere – aveva spiegato – Ovviamente mi piace, ma voglio vedere le nostre idee applicate sul campo. Voglio vedere un gioco di qualità, un gioco che possa entusiasmare i tifosi: voglio che dopo le nostre partite tornino a casa dicendo ‘la squadra ha giocato bene e ha vinto perché è stata coraggiosa’. Per me questo aspetto è molto importante“.

Le idee di Fonseca trascendono il suo palmares (3 campionati, tre coppe e una Supercoppa d’Ucraina con lo Shakhtar, una Coppa del Portogallo con il Braga e una Supercoppa con il Porto). E pur di applicarle il tecnico non è disposto a scendere a compromessi. Vedere per credere lo scontro avuto con Edin Dzeko proprio dopo quella partita di Coppa Italia con lo Spezia, che ha portato all’addio del bosniaco. Nonostante la sua avventura in giallorosso non sia stata esaltante (un quinto e un settimo posto in A bilanciati solo parzialmente dall’eliminazione da parte dello United nella semifinale di Europa League in un periodo in cui le semifinali ancora non erano pane quotidiano dai giallorossi), Fonseca ha fatto più punti di Di Francesco e Mourinho. E l’unico esonero arrivato in carriera risale ai tempi del Porto, il primo grande club sul suo curriculum. Ora gli servirà ben altro per resistere in una società che a volte assomiglia a un tritacarne. Ma la scelta di affidare la panchina a Fonseca potrebbe essere tra le più interessanti della stagione.