L’avvento della Costituzione italiana ha segnato un punto di svolta fondamentale per il sistema giudiziario, in quanto ha riconosciuto e tutelato l’indipendenza esterna della magistratura dal potere esecutivo. Questo principio è sancito in modo chiaro nel terzo comma dell’articolo 107 della Costituzione, il quale afferma che i magistrati si distinguono tra loro soltanto per la diversità delle funzioni esercitate.

Tale principio ha permesso di affrancare definitivamente il Pubblico Ministero dal controllo dell’esecutivo. Di recente, il Consiglio dei ministri ha discusso un disegno di legge costituzionale volto a separare le carriere dei magistrati, una decisione che, sebbene dibattuta per soli 20 minuti, solleva numerose questioni. A partire da una domanda fondamentale: qual è l’utilità del Pubblico Ministero nel nostro sistema giudiziario?

Il ruolo del Pubblico Ministero è cruciale e merita una riflessione approfondita, soprattutto alla luce delle recenti decisioni politiche. Questo tema, che ho spesso trattato in contesti internazionali, richiede un’analisi estesa e articolata. Pertanto, propongo di sviluppare il discorso in una serie ordinata di interventi su questo blog, invitando i lettori a partecipare attivamente con domande e richieste di chiarimenti come faccio spesso con gli studenti, insomma ad essere una spina nel fianco.

Occorre essere chiari: il Pubblico Ministero ha subito significative trasformazioni storiche e funzionali. Originariamente una figura subordinata del Procureur du Roi, è evoluto nel prototipo napoleonico del Parquet nel processo penale, ampliando le sue funzioni fino a diventare un garante dei diritti fondamentali. Oggi, il Pubblico Ministero assume un ruolo sovranazionale, sia nell’Unione Europea sia, come stiamo vedendo nella strettissima attualità, nella Corte Penale Internazionale.

L’espansione delle funzioni si è manifestata in due principali direzioni. La prima riguarda l’ambito civile, iniziata nella seconda metà del XX secolo, che lo ha visto impegnarsi nella tutela dei diritti fondamentali collettivi contro poteri privati e nel rispetto dei diritti sociali. La seconda espansione, ancora in fase embrionale, si verifica a livello sovranazionale in risposta alla globalizzazione e alla crisi della sovranità statale, con la creazione della Procura Europea e della Procura presso la Corte Penale Internazionale.

Proprio per questi secondi motivi, suggerirei, per chi legge, di superare per un attimo l’idea delle contrapposizioni antagoniste, stile piccolo mondo antico, che ci viene rappresentata in queste ore dal dibattito nazionale e di provare a tenere dritta la barra sul punto dell’orizzonte per il quale il Pubblico Ministero oggi, nonostante le diverse configurazioni istituzionali nei vari paesi, è un’istituzione chiaramente vincolata alla cornice democratica dello Stato costituzionale. Insomma, non ne possiamo fare a meno.

In Italia, quindi, egli deve essere visto non solo come un attore del processo penale, ma anche come un garante della legalità, un custode dei diritti fondamentali e un promotore della giustizia sociale. In particolare, la sua funzione di tutela dei diritti collettivi e sociali assume un ruolo centrale in un contesto globale dove le violazioni possono essere perpetrate tanto dai poteri pubblici quanto dai grandi e selvaggi poteri che rappresentano l’assolutismo economico e imprenditoriale che causano danni all’ambiente, alla salute, alla sicurezza dei lavoratori e contro le organizzazioni criminali.

Questo ruolo richiede non solo una solida formazione giuridica, ma anche una sensibilità verso le problematiche sociali ed economiche, in linea con un auspicato costituzionalismo globale. Con la riforma del codice di procedura penale del 1988, si era affermata l’indipendenza interna del Pubblico Ministero attraverso la “degerarchizzazione” degli uffici della Procura e la “personalizzazione” delle funzioni. Dal 2006 invece stiamo assistendo ad un progressivo ritorno al passato precostituzionale con l’obiettivo di ripristinare i principi originari contenuti nelle leggi dello Stato unitario, privilegiando nuovamente il criterio gerarchico e verticistico, al fine di superare la personalizzazione delle funzioni requirenti.

Un percorso che, mentre da una parte ha accentuato la gerarchizzazione degli uffici requirenti, incrementando i poteri del Dirigente dell’ufficio, sia dal punto di vista organizzativo, sia con riguardo alla gestione del procedimento e dei rapporti con i Sostituti, dall’altra ne sta progressivamente erodendo il campo di azione in favore del crescente dinamismo del Questore e del Prefetto nelle aree, oggi più che mai sensibili, delle misure di prevenzione.

Questa tendenza ha portato a un controllo più diretto dell’Esecutivo, con un sapore politico sempre più marcato. Il Procuratore della Repubblica è oggi il titolare esclusivo dell’azione penale e assicura il corretto esercizio della stessa e il rispetto delle norme sul giusto processo. Egli determina i criteri di organizzazione e assegnazione dei procedimenti, i rapporti con la Polizia giudiziaria e l’utilizzo delle risorse. È innegabile che il crescente controllo gerarchico e l’uso strumentale della Polizia giudiziaria abbia favorito il carrierismo minandone la credibilità. Ma le critiche, spesso mosse da una politica ancor meno credibile, sono talvolta basate su pregiudizi o interessi di parte.

La tensione verso un sistema accusatorio, perfettamente aderente alla riforma del 1988, si scontra dunque con la realtà italiana, caratterizzata da continui cambiamenti normativi. L’ultima riforma, la riforma Cartabia, non è stata pienamente attuata a causa di carenze di organico. La separazione delle carriere dei magistrati potrebbe aggravare ulteriormente la situazione. Le principali preoccupazioni riguardano l’indipendenza di questo potere, la legittimità e la rappresentatività dei membri dei Consigli Superiori della Magistratura, e l’impatto sulla stabilità e l’efficienza del sistema giudiziario.

In una fase storica in cui molte sedi giudiziarie soffrono di una significativa carenza di personale, questa riforma potrebbe aggravare la situazione, oltre ad essere costosissima per il bilancio statale. In un Paese ideale dove siano effettivi i principi di legalità ed etica questa iniziativa potrebbe, astrattamente, funzionare e sperare in un approccio olistico e trasparente per realizzare un sistema giudiziario che serva il popolo italiano. Ma è davvero così? E chiuderei lasciandovi per la prossima volta: qual è il reale convitato di pietra di tutte queste riforme?

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti

GIUSTIZIALISTI

di Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita 12€ Acquista
Articolo Successivo

Riforma giustizia, il pm Albamonte: “Non voglio fare il passa-veline della polizia, né finire sotto il controllo del governo”. Su La7

next