Cinema

The magic eye: the cinema of Stanley Kubrick, online il libro che il regista 2001 Odissea nello spazio non fece pubblicare

di Davide Turrini
The magic eye: the cinema of Stanley Kubrick, online il libro che il regista 2001 Odissea nello spazio non fece pubblicare

Questo libro non va pubblicato. Firmato Stanley Kubrick. Pochi giorni fa è stato Filippo Ulivieri, uno dei massimi esperti mondiali del regista di 2001 Odissea nello spazio, a pubblicare su Il Giornale un articolo dove ha raccontato la vicenda di un volume censurato proprio da Kubrick nel 1969. The magic eye: the cinema of Stanley Kubrick s’intitola il saggio critico scritto da Neil Hornick, all’epoca un trentenne londinese appassionato di teatro, libro che dopo oltre 50 anni è stato finalmente ripubblicato grazie alla casa editrice indipendente Sticking Place Books.

Come ricorda Ulivieri, Hornick ottenne da un editore indipendente il via libera per quello che all’epoca era semplicemente il primo libro di critica interamente dedicato al cinema di Stanley Kubrick. Infatti, sul cinema esistevano saggi teorici ma i testi monografici dedicati a singole figure autoriali erano ancora una strada editoriale poco battuta. Col senno di poi, oltrettutto, Hornick, aveva semplicemente scovato quello che nel giro di pochi anni sarebbe diventato pietra di paragone e paradigma dell’estetica e delle tecnica cinematografica mondiale. Kubrick peraltro a fine anni sessanta con 2001 Odissea nella spazio appena uscito era ancora un ragazzone facilmente raggiungibile e non un isolato agorafobico. Insomma, l’autore di Barry Lyndon aveva promesso a Hornick un’intervista faccia a faccia e in preparazione all’incontro gli fece avere nientemeno che i suoi film in pellicola “noleggiandogli pure una sala di proiezione affinché li potesse guardare e riguardare con calma”. Pensate che roba.

In cinque mesi Hornick chiude il libro. Del resto amando i film di Kubrick pensava di aver scritto qualcosa di positivo nei confronti dell’amato cineasta che “considerava il regista americano più interessante, l’unico in grado di produrre film ad alto budget che fossero intelligenti, improntati a una visione personale e diretti con gusto sopraffino”. Poi certo in The magic eye, Spartacus e Lolita risultano “un po’ banali nella messinscena”, ma Orizzonti di Gloria, Il Dottor Stranamore e 2001: Odissea nello Spazio sfiorano la luna. Hornick insomma attende l’intervista da inserire nel libro. Ebbene, passano i mesi e invece di zio Stanley si palesa un pool di avvocati. Mister Kubrick non ha gradito il manoscritto e non autorizza la pubblicazione. Ulivieri spiega che l’inghippo stava nel contratto che l’editore dell’epoca del libro aveva stipulato con Kubrick: potere di veto sul testo “formalmente richiesto per assicurarsi di poter correggere eventuali errori fattuali”. In pratica però il nulla osta a modificare mezzo libro. L’autore ovviamente concede grande disponibilità a ritoccare o a togliere frasi che avrebbero addirittura “irritato” Kubrick. Altro giro di lettere e arriva la doccia fredda: nel testo non ci sono punti precisi da cambiare, spiegano gli avvocati del cineasta, si trattava di un’impressione negativa generale.

A quanto pare Hornick decide di tentare la sorte con lo stesso libro non modificato ma con altri editori, ma scopre subito che il pool di avvocati kubrickiani si palesa a ogni porta per non autorizzare ed anzi denunciare qualunque pubblicazione del volume. Hornick lasciò perdere e tornò a occuparsi di teatro. Alcuni anni dopo uscì il primo libro di critica all’intera carriera del regista. Lo scrisse Alexander Walker, un critico amico di Kubrick, e s’intitolò, ça va sans dire, Stanley Kubrick Directs (Diretto da Stanley Kubrick).

Il caso del libro di Hornick mostra l’ossessione all’ennesima potenza di Kubrick per il controllo di tutto ciò che professionalmente e umanamente gli ruota attorno. Ulivieri però aggiunge come sempre alcune notazioni importanti. La prima riguarda il “grado di potere che Kubrick aveva già nel 1970”. “A leggere le clausole del contratto si resta scioccati: Kubrick si arrogava il diritto di correggere, alterare, cancellare qualsiasi frase ritenesse opportuno, a suo esclusivo e insindacabile giudizio, trattenendo l’uscita del libro finché il suo espresso imprimatur non fosse arrivato per iscritto, pretendendo pure di ripetere il tutto in ogni lingua straniera in cui il libro sarebbe stato tradotto. Poteva insomma anche cancellare il libro per un ghiribizzo, cosa che in effetti fece”.

Il secondo è un ragionamento puntuale che Ulivieri fa rispetto all’approccio tenuto da Hornick nel libro. “Il motivo per cui Kubrick fece naufragare il libro non è l’eccessiva enfasi sui difetti di alcuni film (…) l’opinione critica di Hornick sul cinema di Kubrick è onesta, nel complesso positiva e con frequenti picchi di entusiastica ammirazione. Sì, anche quando loda un film, Hornick non manca mai di mettere in luce qualche passaggio meno fluido, qualche scelta registica un po’ forzata, un effetto estetico imperfetto”, spiega Ulivieri. Il problema semmai puntualizza lo studioso è che il libro di Hornick “presentava il lavoro del regista contestualizzandolo nell’impervio ambiente dell’industria del cinema di Hollywood, tra problemi di finanziamento e richieste degli organi di censura”. Insomma un ritratto realistico, pragmatico, finanche troppo ancorato alla pratica quotidiana e industriale del cinema quando invece “Kubrick non aveva bisogno di realtà, ma aveva bisogno del mito”.

Ulivieri ricorda che il 1969 è peraltro un momento complicato per Kubrick: Il dottor Stranamore fa il botto soprattutto nel dibattito politico americano, 2001 è un buon successo commerciale ma quello che a breve diventerà l’autore più influente del cinema mondiale stava naufragando nell’epopea mai realizzata del film su Napoleone e ancora riceveva pernacchi dalla critica, come le parole pesanti del celebre Andrew Sarris che inserì Kubrick nella categoria “più fumo che arrosto” nel suo libro The American Cinema. Attenzione, insomma, a Kubrick efferato creatore di un’immagine di sé preconfezionata e mitica. “Kubrick sapeva quale era la soluzione: come aveva manipolato la percezione della sua immagine pubblica disseminando nei comunicati stampa storie sul suo perfezionismo, la sua intransigenza, la sua originalità nel panorama hollywoodiano per facilitare l’effettivo raggiungimento di un tale status di artista visionario, così adesso doveva trovare un critico che lo lodasse incondizionatamente affinché diventasse una buona volta anche il cocco della critica”. Sappiamo tutti poi come è andata a finire. E per questo l’acquolina in bocca per The magic eye, ora disponibile in lingua inglese online, diventa tanta. Con buona pace dell’inarrivabile maestro

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