“Babak, non ci arrivi che queste vuote teorie degli anni universitari hanno rovinato tutto? Hanno fatto solo sì che Homa diventasse la moglie di quel tossico che l’ha sposata senza manco averla conquistata prima. Era il morbo degli intellettualoidi della nostra generazione, o dici che ne soffrono anche gli studenti nati negli anni novanta?Come abbiamo fatto a prendercela, questa malattia?”
Ventre sepolto, di Aliyeh Ataei (traduzione di Giacomo Longhi e Harir Sherkat; Utopia Editore), è un’immersione onirica e ipnotica nell’ossessione e nella ricerca tra le strade di Teheran. Un giovane ingegnere sull’orlo di una crisi di nervi vaga per la capitale iraniana per ritrovare la sorella gemella. Nel suo peregrinare, sentimenti contrastanti gli attraversano la mente. Soffre di disturbi psichici e fa uso di stupefacenti. La moglie lo ha lasciato perché lui non riesce a darle un figlio e in lui emergono dubbi sulla sua personalità: un io femminile sempre più ingombrante si fa spazio dentro di sé. E sarà questo elemento, mentre vaga in una metropoli che avanza verso il domani a un ritmo disumano, a farlo entrare nell’animo della sorella, verso un finale imprevedibile e commovente.
“All’alba il sole radioso si levò e brillò nel cielo illuminando la città di Phnom Penh che si stava svegliando. Una folla numerosa camminava per le strade e i marciapiedi, veicoli di ogni tipo circolavano facendo tremare il terreno. Ci fu un tumulto nella casa dell’athipadey Sena. Le persone sconvolte correvano alla ricerca di Sophat scomparso durante la notte.”
Cambodian Soul, di Rim Kin e Nhok Them (traduzione di Maurizio Gatti; ObarraO Edizioni), raccoglie due romanzi brevi tra i più importanti della letteratura cambogiana del Novecento. Si tratta de Sophat, di Rim Kin e La rosa di Pailin, di Nhok Them. Le tematiche rispecchiano la realtà della Cambogia degli anni Trenta: un Paese impantanato in un melmoso immobilismo socio-culturale e dove nei confronti dei genitori vigeva una patologica deferenza. In entrambe le storie i protagonisti sono orfani che cercano, attraverso l’istruzione e la forza d’animo, gli strumenti per emanciparsi e riscattarsi socialmente e dove le donne, da sempre subalterne agli uomini nella tradzione khmer, cercano una propria rivalsa facendo sentire la propria voce.
“C’era una volta un coreano di nome Song Sang-in, dalla mente retta e dallo spirito sincero. Odiava le streghe con tutto il cuore e le considerava delle ingannatrici del popolo. Diceva: «Con le loro cosiddette preghiere, divorano i beni del popolo. Non c’è limite alla follia e alla stravaganza che le accompagna. Questa loro dottrina è tutta una sciocchezza. Vorrei poter liberare la terra dalla loro esistenza ed eliminare per sempre i loro nomi».”
Fiabe coreane, a cura di James S. Gale (prefazione di Heinz Insu Fenkl; traduzione di Rebecca Pignatiello; Il Saggiatore), è un viaggio nella tradizione coreana. Si tratta di una raccolta di storie raccolte da James S. Gale, un missionario canadese arrivato a Seul nel 1888 per insegnare l’inglese e tradurre la Bibbia in coreano. Folletti, uomini che si trasformano in pesci, spiriti, fate, streghe buone, ragazze-volpe, giganti mangia-uomini, serpenti dispettosi, case infestate si susseguono in racconti d’amore e di vendetta, dove la fantasia si mischia alla realtà, in una musicalità di antica derivazione orale.