Politica

Il vero senso del 2 giugno sta nel trasmettere la Costituzione

di Michele Canalini

Letti il 2 giugno, i risultati di un’indagine svolta di recente nelle scuole (per un totale di più di 1500 allievi) dalla Fondazione Vittorio Occorsio sono decisamente incoraggianti: circa l’84 per cento degli studenti intervistati delle scuole medie sa che la nostra Costituzione è la legge fondante dello Stato mentre la stessa risposta è stata data dagli studenti delle scuole superiori per l’89 per cento degli intervistati, a cui si aggiunge un 93 per cento di ragazzi che è a conoscenza dell’entrata in vigore nel 1948 della nostra Carta costituzionale.

Ma se ci penso bene, non mi devo sorprendere di questi dati. Io stesso, da insegnante delle superiori, so bene quanto si insista su questo tema a scuola, e non solo nell’ambito dell’educazione civica intesa come disciplina curricolare. Anzi, tutto ciò diventa ancora di più di auspicio e di speranza all’avvicinarsi della data del 2 giugno che quest’anno si ritrova a coincidere con una domenica.

Tuttavia qualcosa s’inceppa andando più avanti nella cronologia degli eventi, sia pure prendendo in considerazione solo la storia italiana. Il sondaggio della Fondazione Occorsio da questo punto di vista è implacabile nella sua verità oggettiva: alle domande sugli anni di piombo o sull’orientamento ideologico di alcuni gruppi terroristici come le Brigate Rosse, gli studenti si mostrano alquanto incerti e insicuri nelle risposte. Addirittura un quinto degli intervistati delle superiori non sa bene collocare l’assalto di via Fani con il rapimento di Aldo Moro mentre circa uno su quattro non sa chi sia stato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Dovremmo dunque stupirci? No, rispondo ancora io da insegnante, perché so bene quanto sia difficile affrontare la storia contemporanea e tanto più la seconda metà del Novecento in Italia, nelle nostre aule scolastiche. E ciò non è solo dovuto ai programmi scolastici o all’insistenza in passato sulle Guerre puniche, come riportò un’uscita poco felice del nostro recente vissuto politico. Il punto è un altro e lo ha inquadrato bene il report della stessa Fondazione quando si sofferma sulla trasmissione del sapere nella nostra società: “I padri (sarebbe meglio dire i nonni) non trasmettono la memoria del proprio vissuto a figli e nipoti. Quegli eventi, che hanno segnato la vita collettiva del paese, sembrano cancellati o sepolti”.

Il nodo della trasmissione del sapere è cruciale, a mio giudizio, in quanto investe tutti i settori del vivere civile, pubblico e privato. Forse, l’insistenza negli ultimi decenni su una didattica del “saper fare” ha penalizzato quel “sapere” della scuola che doveva essere necessariamente tramandato alle successive generazioni: ma non tanto con quell’ottica distorta di “far da padroni del sapere”, come rimproverava Don Milani a certi insegnanti negli anni Sessanta, accusandoli di fare del proprio mestiere il palcoscenico dell’esibizione di uno sterile nozionismo, mentre non erano in grado di rivelare ai propri allievi la virtù liberatrice della cultura.

L’ottica dev’essere invece quella di una trasmissione libera del sapere come veicolo dell’educazione al pensiero emancipatore e critico. È quello che ha fatto invece il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, il cui straordinario successo si può associare alla capacità di aver coniugato la percezione della conquista della cittadinanza per tutti (come la protagonista), assieme al dato storico dell’esercizio per la prima volta del suffragio universale in Italia: appunto, il 2 giugno 1946.
Perché alla fine il vero senso della celebrazione della festa di domenica 2 giugno 2024 ce lo hanno lasciato gli stessi padri costituenti quando hanno scritto una Carta costituzionale che non mirava alla perfezione formale o al dogma contenutistico. La nostra Costituzione ci ha all’opposto indicato la direzione di marcia, l’assunzione dell’impegno individuale e collettivo e il rispetto all’interno di una coesistenza durevole. E pacifica, più che mai.

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