Le restrizioni per l’accesso all’aborto o addirittura il suo divieto “possono arrivare ovunque, proprio come è successo in Polonia”. Allora “serve un sistema Ue che garantisca l’interruzione di gravidanza” a prescindere dal Paese. Marta Lempart, leader dello Sciopero delle donne polacco (Strajk Kobiet o Women’s strike), parla dalla sede del movimento nel cuore di Varsavia, a pochi metri dalla Camera dei deputati. Chiude il computer davanti a sé e con la mano recupera il telefono che non smette di suonare. “Devo rispondere”, dice. Sulle pareti, ovunque, i manifesti colorati usati nei cortei scandiscono la tappe delle proteste. Dalla stanza a fianco sbuca la gigantografia di una distesa di ombrelli neri: era il 2016 ed è l’autoscatto di uno dei primi trionfi di piazza, quando decine di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere la tutela di un diritto. Quelle stesse donne, quasi dieci anni dopo, hanno determinato la vittoria del premier Donald Tusk contro l’estrema destra e lo hanno fatto solo con la promessa che avrebbe cambiato una delle leggi più restrittiva d’Europa sull’aborto. A distanza di sette mesi, ancora non è successo. E Lempart non ha alcuna intenzione di dosare le parole: “Siamo state tradite”, dice intervistata da ilfattoquotidiano.it “Un anno in più o in meno fa la differenza, qui le donne che vanno in ospedale rischiano di morire”.

In ballo non ci sono solo i principi, ma la salute e la vita delle persone. E per questo il Women’s strike, insieme a decine di associazioni e ong europee, ha deciso di puntare a Bruxelles. Così è stata lanciata la campagna My voice, my choice: l’obiettivo è raccogliere 1 milione di firme per presentare una petizione. Se riusciranno nell’impresa, Parlamento e Commissione saranno obbligati a dare una risposta entro sei mesi. “Solo così”, dice, “possiamo mettere in difficoltà i governi” e gli Stati che ancora ostacolano le donne che vogliono abortire. Ad esempio l’Italia, concentrata solo sull’aumentare la presenza degli anti-abortisti nei consultori. O la Strajk Kobiet che chiede di pagare per interrompere la gravidanza, o la Germania che ha lunghi tempi d’attesa. Su come rimuovere quelle barriere si concentra la battaglia quotidiana di Lempart e le altre. Perché, chiude, anche se tutto sembra inamovibile “non bisogna sottovalutare la paura” che hanno i politici di perdere consenso: “Le piazze piene fanno paura e noi già una volta li abbiamo spaventati più dei preti”.

Com’è la situazione in Polonia oggi?
In pratica, nessuna dichiarazione fatta prima delle elezioni su aborto e unioni civili avrà un seguito.

Perché?
I cattolico-fondamentalisti, partito di minoranza, bloccano tutto minacciando di lasciare la coalizione con centro e sinistra. Anche lo speaker del Parlamento sta facendo una campagna per mantenere il divieto, abusando del suo potere.

Ma Tusk non ha annunciato una legge per rendere l’aborto legale fino alla 12esima settimana?
Ci sono due proposte per la legalizzazione e una per la depenalizzazione, ma sono senza speranza. Invece, si sta lavorando su quella dei cattolico-fondamentalisti che riporta al divieto del 1993. Alleati contro i diritti delle donne sono l’estrema destra del vecchio governo e parte del nuovo.

Siete deluse?
Sì, ci hanno tradito completamente. E me la prendo con Donald Tusk che ha mollato sui diritti senza reagire. Credo che gli convenga così.

Nessuna delle promesse fatte verrà rispettata?
Passerà la legge che reintroduce il divieto di abortire con tre eccezioni (minaccia alla vita della madre, stupro o incesto, grave o irrimediabile problema di salute al feto ndr). Nel 2021 era stata abolita la possibilità di ricorrervi in caso di malformazione del feto, ma a deciderlo è stata una Corte costituzionale con giudici nominati non legalmente.

Quindi il massimo sarà una conferma del passato?
Anche peggio. Perché ora la campagna contro l’aborto la fanno membri del governo, il vice primo ministro e lo speaker del Parlamento. Non sono uscite sporadiche, hanno un piano. Contestano addirittura i casi delle donne morte in ospedale, è offensivo. Prima l’aborto era così stigmatizzato che i decessi si coprivano come complicazioni della maternità. Era un tabù. Ora i casi sono pubblici perché la discussione sull’aborto è pubblica.

In Polonia cosa può fare una donna che vuole interrompere la gravidanza?
Abortire è legale, non lo è aiutare a farlo. Per questo abbiamo processi per compagni, sorelle, madri, attiviste che hanno fornito il loro aiuto. Il 96% di questi aborti sono farmacologici. Poi c’è un 4% di chirurgici fatti fuori dalla Polonia.

Come funziona il sistema “alternativo”?
E’ il migliore al mondo. Il collettivo “Abortion Without Borders” mette in contatto le organizzazioni polacche con l’esterno. Abortion Dream Team è la nostra squadra. Qui è legale comprare e avere le pillole, così come sono legali le procedure. E ogni anno vengono fatti circa 150mila aborti. Il numero per chiedere aiuto (222 922 786) è il terzo più usato dopo quello della polizia e dei pompieri.

Da quando esiste?
Dal 2018 circa. Prima c’erano collettivi, ma questo è molto professionale. Formano persone ovunque nel mondo. E non abbiamo tempi di attesa, dottori, documenti. Quelle procedure servono solo ai politici e ai preti.

Chi paga?
Il 70% è coperto dalle ong, il 30% da chi ha bisogno del farmaco. Il costo è di circa 75 euro. Se non puoi permettertelo pagano le organizzazioni, ma restano altri soldi da coprire. Per questo serve un sostegno.

A chi lo chiedete?
Ai governi. E all’Europa.

E’ l’obiettivo della campagna “My voice, my choice”?
Sì noi chiediamo un sistema di telemedicina. Se l’Olanda, ad esempio, ha le pillole per l’aborto farmacologico e nel mio Paese ho degli ostacoli, devo poter accedere a quel servizio gratuito anche se non sono residente. Non si tratta di cambiare le leggi. Si tratta di finanziare un migliore sistema sanitario: il Paese che ottiene i fondi potrà fornire le pillole a tutte le donne in Europa. E ad esempio le italiane, visto che nel loro Paese c’è l’obiezione di coscienza, avrebbero diritto a rivolgersi all’Olanda solo sulla base del loro passaporto Ue.

Vi servono un milione di firme, ce la farete?
In un mese abbiamo già raccolto il 30% del totale, ce ne sono altri 11. E’ una delle raccolte più veloci mai fatte. E siamo fiduciose perché una volta raggiunto il numero, consegneremo la petizione e, se supera l’ammissibilità, la commissione è obbligata a registrarla. E poi deve sottoporla al Parlamento Ue con una corsia preferenziale.

Perché spostare la battaglia a livello europeo?
E’ la mossa da fare di fronte alle barriere presenti in tanti Paesi. Questo movimento dal basso può far implodere i sistemi nazionali perché ci sarà una forza di gravità naturale verso sistemi più accessibili. Non riguarda solo la Polonia, tutti potranno chiedere aiuto ad altri Stati.

Una eventuale vittoria delle destre alle Europee vi preoccupa?
So che c’è il panico, ma noi non lo viviamo. So che possono succedere cose cattive, ma qui sono successe anche per il tradimento dei democratici. Certo se a Bruxelles si raggiungerà un accordo con l’estrema destra che pretende di essere conservatrice abbiamo chiuso con i diritti umani. Sarà il prezzo da pagare.

Conviene ancora alle destre fare la battaglia contro l’aborto? Perfino Trump ci sta ripensando.
In Polonia i sondaggi mostrano che il consenso sta cambiando: nel 2016 il 37% delle persone era per l’aborto legale, ora lo è il 70%. Ma dietro i fondamentalisti c’è molto di più. Nessuno dei politici vede quanto siano nutriti da Russia e organizzazioni statunitensi. E’ uno schema geopolitico. E se qualcuno lo dice viene trattato da pazzo. Ho letto da qualche parte che la strada per “Il racconto dell’ancella” (il romanzo distopico di Margaret Atwood sulla sottomissione delle donne ndr) è piena di persone che dicono “non andare in panico”. Da tempo ci sono giornalisti che collegano i fondi per il Congresso della famiglia al Cremlino. L’Europa ha deciso di ignorarlo come fa con il cambiamento climatico.

Alle Europee le promesse tradite sull’aborto in Polonia avranno un effetto?
La gente ha già mostrato cosa pensa a questo governo: in ottobre ha votato il 75% degli elettori. Alle recenti elezioni locali il 50. E i giovani sono passati dal 68 al 39. Noi andremo a votare, ma faremo campagna per i candidati che supportano la nostra petizione.

Cambiare il sistema chiede tempo, state precipitando le cose?
In Polonia se una donna finisce in ospedale quando è incinta rischia di morire perché non provvedono con l’aborto. Non posso aspettare perché questo governo ha bisogno di tempo per cambiare le leggi. Un anno o due fanno la differenza.

Gli spiragli sono pochi, cosa la spinge ad andare avanti?
Sono una persona che se durante una riunione vede un quadro storto si alza e lo mette a posto. Mi arrabbio se le cose non sono fatte nel modo giusto. E poi mi aiuta molto il nostro supporto per la salute mentale. E’ rivolto a tutti gli attivisti e fa in modo che le persone non mollino per burn out.

La combattono anche in tribunale. Quante cause ha in corso?
Circa 121. Ma la metà sono bloccate perché con il nuovo governo non sanno come andare avanti. Mi contestano la violazione di vecchie leggi comuniste: l’uso del megafono che disturba la natura o l’uso di manifesti senza il diritto della proprietà. Lo fanno per farmi tacere, ma non funziona.

Qual è il segreto per mobilitare decine di migliaia di persone?
Per trattare con i populisti la comunicazione è decisiva. Bisogna resistere quando vogliono minimizzare o ti accusano di mentire. E soprattutto usare messaggi semplici. Forse per me è più facile perché non ho una formazione abbastanza avanzata. Ma se fai un testo lungo ed eccessivamente dettagliato non ti capisce nessuno.

Un esempio?
Lo slogan dello sciopero era: “Fuck off”. Fanculo i ministri, la chiesa, la destra. Era tutto quello che volevamo dire. Qualcuno ha storto il naso, invece abbiamo avuto ragione. Perfino Facebook ha dovuto accettare i post se no avrebbe dovuto oscurare la metà dei contenuti.

Quanto è grande la vostra rete?
Oltre al movimento, abbiamo creato una fondazione e ci lavoriamo in cinque. Poi abbiamo leader e organizzazioni in 150 città, che arrivano fino a 600 quando succede qualcosa di grosso. E sui territori formiamo anche persone che possano aiutare le donne che subiscono violenza domestica: sono i primi che si attivano in caso di bisogno.

La mobilitazione dal basso può davvero avere un peso sulla politica?
La paura di perdere consenso è un fattore sottostimato. Non è che all’improvviso Tusk ha cambiato la posizione sui diritti perché ci rispetta. Solo abbiamo fatto più paura dei preti. Così tante persone in piazza hanno fatto paura.

Solo così i diritti delle donne saranno rispettati?
La pressione dei movimenti dal basso sui governi può cambiare le leggi. Anche quelle sull’aborto. Perché quello che succede in Polonia, può succedere ovunque. E non possiamo aspettare che le cose si muovano dall’alto.

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