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Lele Mora, dall’amicizia con Berlusconi al carcere: “Io vicino di cella di Olindo Romano”. E racconta il tentato suicidio

Dall'arresto per bancarotta al tentativo di suicidio in carcere passando per l'amicizia con Silvio Berlusconi e per il suo esordio nel mondo della televisione. Lele Mora si è raccontato nel podcast One More Time di Luca Casadei

di F. Q.
Lele Mora, dall’amicizia con Berlusconi al carcere: “Io vicino di cella di Olindo Romano”. E racconta il tentato suicidio

Dall’arresto per bancarotta al tentativo di suicidio in carcere passando per l’amicizia con Silvio Berlusconi e per il suo esordio nel mondo della televisione. Lele Mora si è raccontato nel podcast One More Time di Luca Casadei. La puntata è già ascoltabile mentre la video-intervista integrale uscirà il prossimo 4 giugno.

L’ingresso nel mondo della tv, racconta, avvenne grazie a Giampiero Malena, manager di Pippo Baudo che divenne per lui un vero “passe-partout per tutto quello che ho fatto”. È grazie a lui che Lele Mora approda a Mediaset e conosce Fatma Ruffini grazie alla quale, dice, “ho imparato a fare televisione”. Poi all’inizio degli anni ’80 diventa amico di Silvio Berlusconi, con cui, racconta, si sente anche “cinque, sei volte al giorno”. “Ero lusingato di aver incontrato e di avere a che fare con uomo come lui. Nel periodo in cui lo frequentavo, c’era tanta gente che mi chiedeva di venire ad Arcore a cenare con lui o a conoscerlo, però io non mi sono mai permesso di invitare nessuno”.

Quindi Mora racconta l’arresto e i giorni in carcere. “Sono stato arrestato per bancarotta perché avevo un debito con le entrate. Stavo trattando per pagarlo ma non mi è stato possibile…- dice – Mi è stato fatto un mandato di cattura. Ero seduto nel mio ufficio e vedo nel sottopancia delle televisioni ‘arrestato Lele Mora’, dunque la notizia era già uscita e invece io ero ancora nel mio ufficio. Dopo tre orette mi suona il campanello…Mi hanno accompagnato nel carcere di Opera e lì ho fatto dentro 407 giorni”. In carcere, dice, aveva come vicino di cella anche Olindo Romano, della strage di Erba e Totò Riina, che “vedevo girare senza guardie“. Lì, racconta ancora, ha chiesto di poter cominciare un orto, con l’aiuto di altri detenuti. Ma il sollievo di quell’attività non basta a cancellare pensieri intrusivi. Così l’ex agente, racconta, tenta il suicidio.

“Era la vigilia di Natale, erano venuti i miei figli e vederli andar via dalla finestra…mi sentivo morire – spiega commosso Mora – E lì sono tornato in cella e non ho più pensato a niente, ho pensato solo ‘ma perché devo stare qua? perché devo soffrire così tanto? far soffrire i miei figli così tanto? Se io mi tolgo la vita forse è la cosa più bella‘”. Il pensiero negativo si trasforma in un tentativo di togliersi la vita: “Vicino al mio letto dove dormivo c’era una lampada che l’avevano tutta incerottata – dice – Ho staccato tutto lo scotch, mi sono messo un asciugamano in bocca e mi sono incerottato. Penso di essere anche svenuto perché non respiravo più. Arriva il poliziotto penitenziario, mi chiama, io non rispondo. E mi hanno subito portato in ospedale. Da lì, da quel gesto, ho avuto due ischemie brutte. Sono cose che non vanno fatte”, conclude.

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