Un’aura di insofferenza accompagna – negli ambienti politico-mediatici in cui è proibito porre domande sulla politica estera – la candidatura alle europee di Marco Tarquinio da indipendente nelle liste del Pd. L’insinuazione più vergognosa si è ascoltata in un talk show, dove un partecipante con voce mielata lo ha definito “più sensibile alle posizioni di Putin”.
E’ la lotta politica, bellezza! Non c’è da meravigliarsi. E’ interessante piuttosto vedere che i malumori non vengono tanto da aperti avversari di lista, quanto da coloro che dovrebbero essere elettoralmente dalla stessa sua parte.
Passi per il batticuore suscitato da una sua battuta sulla Nato, che potrebbe anche sciogliersi per essere sostituita da un’alleanza alla pari tra Europa e Usa (una tesi, quella del superamento dell’Alleanza atlantica, che l’ex ambasciatore a Mosca Sergio Romano, un liberaldemocratico occidentalista, riteneva logica dopo il crollo del Muro di Berlino). Ad inquietare è il suo ragionare senza paraocchi. Qui non interessa il destino politico della singola persona. Notevole è, invece, che l’ex direttore dell’Avvenire porti specialmente scompiglio nella passività di quanti nel Pd si qualificano come “riformisti” senza esprimere mai la voglia di esplorare la realtà geopolitica con uno sguardo libero da una formattazione preordinata.
Salta agli occhi, in quell’area, la costante attesa degli input che arrivano da Bruxelles o da Washington. Biden per lungo tempo, riguardo alla guerra in Ucraina, ha valutato passo passo che tipo di armi inviare a Kyiv, esigendo che non fossero usate per colpire bersagli sul territorio nazionale russo. Giusta o sbagliata, era una linea politica. E i “passivisti” non l’hanno mai messa in discussione. Ora Washington sta cambiando atteggiamento, mentre altre capitali europee – dopo avere giocato con l’ipotesi di mandare truppe Nato sul territorio ucraino – incoraggiano con estrema leggerezza l’idea che Kyiv porti la guerra missilistica direttamente sul territorio della Russia. Di colpo i “passivisti” sono già allineati sulle indicazioni di Stoltenberg.
Tarquinio porta naturalmente nell’arena politica gli stimoli derivanti dal pensiero di papa Francesco, condiviso da una vasta area di credenti e non credenti. Ed è questo che dà fastidio. Perché significa interrogarsi sulla necessità di portare ad una conclusione la guerra in Ucraina senza indulgere all’isteria di quanti ripetono “fino alla vittoria!”. Le osservazioni di Francesco sono un antidoto agli slogan infantili tipo “Se la Russia si ferma, è finita la guerra, se l’Ucraina si ferma è finita l’Ucraina”. Con queste cantilene la diplomazia internazionale non ha mai raggiunto alcun obiettivo. Si capisce allora perché Elly Schlein considera la candidatura del giornalista cattolico un arricchimento per il Pd.
Nell’humus delle riflessioni papali si ritrovano interrogativi che albergano da tempo in una massa notevole di italiani, pur essendo sistematicamente repressi dalla narrativa ufficiale.
Prima domanda: la guerra era evitabile? La risposta è tranquillamente “sì”. Durante la crisi di Cuba del 1962, Mosca riconobbe che gli Stati Uniti consideravano questione di sicurezza nazionale il fatto che a Cuba non vi fossero basi missilistiche sovietiche. E Washington a sua volta tolse i missili Jupiter dalla Turchia, confinante con l’Urss. Uno scambio evitò la guerra mondiale. Esattamente quello che intuirono il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel, quando nel 2008 misero il veto all’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza atlantica.
Secondo problema posto dal pontefice argentino: nel frantumarsi degli equilibri internazionali e nel moltiplicarsi delle crisi (Ucraina, Gaza, Taiwan) è urgente affrontare di petto la costruzione di un nuovo ordine mondiale. Francesco ha indicato l’obiettivo di una Helsinki 2000, un accordo fra i molteplici protagonisti dell’odierna scena mondiale per sancire nuove regole di convivenza e cooperazione a livello planetario. Sono analisi che nel pontefice nascono certamente da un impulso evangelico alla pace, alimentato dalla fede, ma che di per sé sono razionali e totalmente laiche.
Nel frattempo è deflagrata la crisi israelo-palestinese. Fermi restando i crimini commessi dalla dirigenza di Hamas il 7 ottobre, è semplicemente insostenibile cercare di chiudere gli occhi sui crimini per i quali alla Corte penale internazionale è stato chiesto il mandato di cattura per il premier Netanyahu e il ministro della Difesa israeliano Gallant. Anche qui Tarquinio è portatore di una visione razionale, che irrita quella parte di establishment che non ha il coraggio di esigere un cessate il fuoco immediato – con la liberazione totale degli ostaggi presi da Hamas – e un altrettanto immediato riconoscimento della Palestina per mettere rapidamente su binari concreti il progetto “due popoli, due stati”. Non c’è nessuna equiparazione tra Hamas e Israele, sottolinea l’ex direttore di Avvenire; i capi d’imputazioni sono separati e distinti. Hamas è chiamato a pagare per la presa di ostaggi, gli stupri e le torture del 7 ottobre. Netanyahu e Gallant per la punizione collettiva inflitta alla popolazione di Gaza con 35.000 vittime.
Perché in realtà l’area cattolica che insiste per una geopolitica di pace non è costituita da generici pacifisti, ma si definisce “costruttori di pace”, cioè mira a mettere razionalmente mattone su mattone per creare un ordine internazionale stabile. Pensieri che potrebbero rappresentare un medicinale ricostituente per la politica estera italiana.