Che sia dicembre, gennaio, febbraio, quando ha un giorno libero dal lavoro Rosa prende la sua borsa e va in spiaggia, sull’isola di Maui, la seconda, per superficie, delle Hawaii. È un sogno vivere qui, nell’arcipelago più famoso al mondo, in un paradiso terrestre? “Certo – risponde –. Le persone sono rilassate e fanno le cose serenamente. La vita è gioiosa. Da Perugia alle Hawaii sembra facile: ma ci passa un percorso di 30 anni”.

La prima volta che ha lasciato l’Italia, nel 1996, Rosa Mariotti aveva 30 anni. Partiva da Perugia in direzione Stati Uniti. Quando ti si presenta davanti un’opportunità ci sono due tipi di persone, dice: quelle che ci pensano e la fanno andar via e quelle che, con un po’ di incoscienza, la colgono e partono. “Io faccio parte del secondo tipo”, sorride nella sua intervista al fattoquotidiano.it. Dopo aver venduto la sua Twingo e preso la liquidazione dall’impiego in Italia come agente di viaggi, Rosa accetta l’offerta di lavoro di una compagnia aerea negli USA. “Ma dovevo migliorare il mio inglese”. Così si trasferisce in Oregon con il suo visto di studio. L’America ti accoglie con una sensazione di meraviglia costante, dice, ma anche lì vanno i fatti i conti con la burocrazia. “Non è stato tutto rose e fiori. È stato un percorso mirato, voluto tantissimo, e poi attuato con sacrifici, determinazione ed energia”.

Quando decidi di lasciare il tuo Paese e trasferirti dall’altra parte del mondo anche le reazioni delle persone intorno a te sono contrastanti: ci sono stati quelli che l’hanno invidiata, quelli che l’hanno spronata, chi le ha messo dei dubbi e chi le ha creato problemi. Alcuni amici l’hanno supportata fin dall’inizio; parte della famiglia, al contrario, non si è presentata quando Rosa si è laureata negli States. “Non ho nessun rancore, capisco tutti”, spiega. Il percorso da intraprendere è “durissimo, lungo, pianificato”. Servono preparazione e nervi d’acciaio. E negli USA in 30 anni di lavoro Rosa è riuscita a “cambiar lavoro” (in meglio) ogni “due anni”, avanzare con la carriera, acquistare una casa, ottenere la green card e il doppio passaporto. Poi, nel 1996, arriva una nuova opportunità. “Ho trovato lavoro alle Hawaii ancor prima di vendere la mia casa in Oregon e di partire per l’arcipelago”. Oggi Rosa è private chef a Maui, l’isola del Pacifico con oltre 160mila abitanti.

All’inizio è stato complicato abituarsi al tempo rilassato che scorreva sull’isola, “visto che arrivavo dal ritmo incessante della città americana, dove va fatto tutto e subito”. Le prime settimane di ambientamento, inoltre, possono essere delicate: i locals hanno un sentimento di amore-odio nei confronti di chi arriva per lavorare e per stabilirsi sull’isola. L’importante, spiega Rosa, è sentirsi “ospiti” della loro terra e rispettare la loro cultura. Quando sei su un’isola così lontana dalla terra capisci che le tue necessità diventano minuscole: tutto ha un senso diverso rispetto a quello che accadeva nel nostro Paese. “In Italia ero attaccata ai look, alle apparenze, all’effimero”. Oggi “non abito in una villa con piscina, ma spendo il tempo a lavorare meno e a vivere una vita gioiosa – continua Rosa –. I miei amici in Italia mi raccontano spesso che si ammazzano di lavoro e non capisco come facciano: qui mi hanno insegnato a trovare l’equilibrio. Non serve mai sacrificare la propria vita per il lavoro. Il lavoro mi serve per vivere, ma non vivo per lavorare”.

Rosa non rinnega il suo passato: parla italiano con gli amici che da Firenze si sono trasferiti a Maui, non prova rancore per il suo Paese d’origine e si considera fortunata ad essere nata in Italia, perché “lì ho avuto l’opportunità di formarmi con quel background culturale che mi ha aiutato nel mio lavoro in America e poi alle Hawaii”. È come se avesse due anime che convivono: quella italiana e quella americana. La sua casa, però, oggi è l’America. Sogna di tornare, ma a modo suo: quando sarà il momento della pensione e con i soldi della liquidazione. Alle Hawai ha capito che si vive tutti i giorni e si muore una volta sola. “Ci sono ancora tantissime cose che vorrei fare: vedere la Sicilia, andare a trovare un vecchio amico a Lecce, tornare a visitare Perugia. Ma in Italia – conclude – non avrei mai e poi mai potuto fare in 30 anni di lavoro quello che ho fatto negli USA”.

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