Nei cinema italiani è arrivata dal 23 maggio Furiosa: A Mad Max Saga, poco dopo l’apertura a Cannes. Era un progetto molto ambizioso fin dal titolo: impostare una nuova saga sul mondo Mad Max. Ma senza Tom Hardy nei nuovi film di Frank Miller, e soprattutto intorno alla new entry Anya Taylor-Joy, subentrata a interpretare quel personaggio iconico grazie a Charlize Theron, si sviluppa una storia piena di buchi evidenti e diverse scene d’azione che sembrano sfuggir di mano. 168 milioni di dollari nel budget, ‘soltanto’ 114,4 milioni incassati finora globalmente. Per noi in Italia sarebbe una manovra, ma per Hollywood i numeri di un medio flop. I suoi problemi sono comunque altri. A Taylor-Joy è stata affidata la genesi di un personaggio più duro di una Ripley di qualsiasi Alien. Lei è un’ottima attrice, lo ha dimostrato soprattutto con La Regina degli Scacchi, ma allontandosi così tanto dai suoi ruoli precedenti qui non riesce a saltare dentro il personaggio con la grinta di chi l’ha preceduta.

Quel character richiede il 150% di tenacia, ma spesso e volentieri lei con un training discutibile riesce giusto a surfare un po’ tra quei bestioni surreali capitanati da Dementus (ma che nome è?) interpretato da Chris Hemsworth e dal suo naso adunco inguardabilmente finto. A volte sembra la parodia di se stesso e di qualsiasi villain muscoloso, oltre che di Thor, parte ironicamente gradevole in barba alla Marvel. Dall’altra abbiamo il tutor per combattimenti che sembra il cosplayer di Gibson (Tom Burke) affiancato alla giovane Furiosa ancora tutt’intera, un soggetto che desta strani interrogativi riguardo al senso del suo look, e un peccato per il suo sviluppo drammaturgico non incisivo.

Un’opera prima molto convincente è Noir Casablanca, di Kamal Lazrak, vincitore del Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2023 e presentato a maggio al FEESCAL di Milano – Festival del Cinema Africano Asiatico e dell’America Latina. Un povero trafficante marocchino coinvolge suo figlio per sbrigare una faccenda di vendetta per conto di un boss locale. In auto e durante l’arco di una sola notte vivranno il loro viaggio allucinante tra minacciosi imprevisti e un rapporto tra i due sempre più a dura prova. Potremmo definirlo quasi un moderno Accattone d’Africa questo slowburn teso e coinvolgente dall’inizio alla fine. Il suo meccanismo narrativo non solo presenta un racconto inedito della criminalità marocchina, ma anche il rapporto tra padre e figlio in un conflitto che ribalterà i ruoli. Arriva nei nostri cinema il 6 giugno.

Dal 30 maggio è in sala Rosalie. Siamo nella campagna francese dell’800 e una ragazza coperta di peli a causa della sua diversità lotta insieme al padre per evitare di diventare un fenomeno da baraccone. Tutto verrà sconvolto quando il padre la darà in moglie a un uomo non più giovane ma con una discreta locanda in dote. È un film che parla di dignità, della percezione della bellezza e del confine tra la diversità che si accetta e ciò che la rifiuta socialmente. Esplora con eleganza i crepuscoli del pregiudizio e ci regala un nuovo personaggio dalla resilienza creativa e struggente. Così risulta toccante la fierezza erotica di Nadia Tereszkiewicz nel soffiare l’anima attraverso la barba della sua Rosalie.

La regia di Stéphanie Di Giusto riesce sia a bussare con fervore sui battenti dell’apparenza quanto ad affrontare il dolore e il desiderio di questa donna. Il protagonista maschile è invece un combattuto Benoit Magimel, protagonista anche ne Il gusto delle cose, dove la magione dello chef che interpreta lì somiglia curiosamente alla casa/locanda dove si sviluppa la relazione con Rosalie.

Infine con The penitent arriva alla sua quarta regia di cinema Luca Barbareschi. Forse il suo colpo più ambizioso perché afferra un testo teatrale di David Mamet che già aveva portato in scena ai tempi dell’Eliseo. Al nono posto in box office dopo il weekend, funziona la parte visiva d’ambientazione quanto il cast americano intorno al protagonista. In questo dramma legal-psicologico ambientato a New York un rinomato psicologo entra in un terreno minato quando un suo paziente fa una strage uccidendosi. La legge americana in questo è diversa dalla nostra e molto più severa. Barbareschi con il lavoro osa, magari a volte cade, qui tiene pure il suo volo seppur senza portarci emotivamente con sé, ma almeno crea novità. Non ci stimola molta attrazione per la vicenda né per il suo controverso psicologo, è vero, però risultano pregevoli l’aver acciuffato un autore come Mamet e l’audacia con la quale ha prodotto questa storia d’oltreoceano.

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