A guidare il Messico sarà per la prima volta una donna: Claudia Sheinbaum, erede dell’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador e portabandiera della piattaforma progressista di cui fanno parte il Movimento di Rigenerazione Nazionale (Morena), il Partito del lavoro (Pt) e il Partito verde ecologista Verde (Pvem). I risultati dei sondaggi pre elettorali risultano infatti confermati dalle stime del conteggio rapido pubblicato dall’Istituto nazionale elettorale, che la dà tra 58,3% e il 60,7% dei voti. Il risultato dovrà essere confermato dallo spoglio delle schede, ma Sheinbaum ha riferito che gli avversari hanno già riconosciuto la sua vittoria. “Abbiamo dimostrato che il Messico è un Paese democratico con elezioni pacifiche”, ha detto. Allo Zocalo, la piazza principale di Città del Messico, si sta finendo di montare il podio da cui parlerà la vincitrice, in una storica svolta per una delle nazioni più machiste e col più alto numero di femminicidi al mondo.

Al voto erano chiamati 98 milioni di elettori in 170mila seggi elettorali distribuiti su un territorio quasi sette volte più grande dell’Italia. Le settimane di campagna elettorale sono state segnate da una scia di sangue: almeno trenta gli omicidi di candidati alle comunali: una spirale di violenza che ha costretto a sospendere le votazioni nei comuni di Chicomuselo e Pantelho (nel Chiapas), con 222 seggi (distribuiti in undici stati) rimasti chiusi a causa di problemi di sicurezza e 120mila elettori tagliati fuori.

Sheinbaum, “figlia del ’68” come lei stessa si definisce in un documentario dove racconta la sua storia in prima persona, punta ad essere all’altezza del risultato del 6 luglio 2018, quando Lopez Obrador ottenne una netta vittoria col 53,19% delle preferenze e il 63,42% della partecipazione cittadina. Nel suo evento di chiusura, l’ex sindaca ha promesso la continuità, ricordando che “con l’onestà e sostegno a chi possiede di meno, si raggiunge la giustizia sociale e si ottengono risultati”. Ma sulla gestione di Obrador pesano 50mila desaparecidos e oltre 180mila vittime di omicidi (una media di 92 al giorno) registrate tra il dicembre 2018 e l’aprile 2024: un record in un Paese in cui i cartelli della droga si contendono il territorio e vanno sempre più abbracciando il proficuo business dei migranti, con flussi che lo scorso anno hanno sfiorato gli 800mila ingressi, in aumento del 77% rispetto al 2022.

Una falla, quella della sicurezza, su cui ha puntato il dito la candidata dell’alleanza di opposizione Xóchitl Gálvez, in rincorsa col 36% di consensi secondo i sondaggi, sostenuta da una coalizione composta dal Partito di azione nazionale (Pan; destra) il Partito rivoluzionario istituzionale (Pri; centro-sinistra) e il Partito di rivoluzione democratica (Prd; centro sinistra). Nel suo programma, la senatrice di origine indigena ha proposto di costruire un mega-carcere di massima sicurezza (sullo stile di quello voluto da Nayib Bukele in El Salvador) e nel corso dell’ultimo dibattito tv ha accusato l’avversaria di essere “la candidata dei narcos”, prendendo probabilmente spunto dalle accuse di un presunto finanziamento da due milioni di dollari del Cartello di Sinaloa alla campagna elettorale di Lopez Obrador del 2006.

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