Dall’ottobre 2023 Amnesty International ha condotto indagini approfondite su 16 attacchi aerei delle forze israeliane contro la Striscia di Gaza, che hanno ucciso 370 civili, tra cui 159 bambini, e ferito altre centinaia di persone. L’ultima ricerca è stata resa nota alla fine di maggio: riguarda tre attacchi – uno sul campo rifugiati di al-Maghazi il 16 aprile e due su Rafah il 19 e il 20 aprile – che hanno ucciso 44 civili palestinesi tra cui 32 bambini: ulteriori prove, sottolinea l’organizzazione per i diritti umani, dell’ampio schema di crimini di guerra commessi dalle forze israeliane nella Striscia di Gaza negli ultimi ormai quasi otto mesi.
In tutti e tre i casi esaminati, Amnesty International non ha rinvenuto alcuna prova che, nei luoghi presi di mira dall’esercito israeliano o nei loro dintorni, vi fossero obiettivi militari. Inoltre, le forze israeliane non hanno avvisato le persone che vivevano nei luoghi colpiti prima di lanciare gli attacchi.
Il 16 aprile, intorno alle 15.40, un attacco aereo israeliano ha colpito il campo rifugiati di al-Maghazi, al centro della Striscia di Gaza, uccidendo 10 bambini di età compresa tra quattro e 15 anni e cinque uomini di età compresa tra 29 e 62 anni: un barbiere, un venditore di falafel, un assistente odontoiatrico, un allenatore di calcio e un anziano con disabilità. Più di dieci persone, per lo più bambini, sono rimaste ferite. Le munizioni hanno preso in pieno un mercato di strada e un gruppo di bambini che stava giocando a biliardino. Amnesty International ha esaminato quattro video e 22 fotografie ripresi da abitanti e giornalisti e anche dai suoi ricercatori.
Il tipo di danni arrecati e le parti elettroniche rivenute nei frammenti delle munizioni recuperati sono compatibili con piccoli missili di precisione guidati e con bombe plananti lanciati dai droni israeliani. Quel giorno in cielo non c’erano elicotteri né aerei, mentre dalle testimonianze raccolte da Amnesty International è emersa la costante presenza di droni. Nell’attacco sono stati uccisi due figli di Jaber Nader Abu Jayab. Ecco la sua testimonianza: Ero a casa quando ho sentito il colpo. Ho pensavo fosse lontano ma, appena sono uscito fuori, mi sono reso conto che aveva colpito la nostra strada, a 20 metri di distanza da me. C’erano bambini morti e feriti ovunque. Mohammed [12 anni], il figlio di mia sorella, aveva grandi ferite ed è morto due giorni dopo. Poi ho visto mia figlia Mila [quattro anni], anche lei gravemente ferita. Quando l’ho raggiunta in ospedale, un’ora dopo, era morta. Lo stesso per Lujan [nove anni], morta anche lei.
Cinque giorni dopo l’attacco, Raja Radwan, di dieci anni, ha parlato con Amnesty International: Stavo giocando a biliardino, poi ho smesso, sono andato in un negozio e poi a casa. Ho detto ai miei amici di continuare. Sono stato fortunato, ma i miei amici Raghad e Shahd sono stati uccisi.
Questa è la testimonianza di Mohammed Jaber Issa, insegnante di scienze di 35 anni, che nell’attacco ha perso vari familiari. Ha descritto com’è stata uccisa Shahd Odatallah, di 11 anni, appena uscita da un negozio dove aveva comprato un dolce: È morta con un pezzo di ma’moul in mano. Poi ha aggiunto: Uno dei bambini uccisi era fuggito da al-Tuffah, un quartiere di Gaza City. Era scampato alla fame solo per trovare la morte qui. Mahmud Shanaa, 37 anni, rimasto ferito, ha così testimoniato: I bambini e le persone intorno sono stati uccisi perché il missile è atterrato proprio vicino al tavolo da biliardino. Lì c’erano sempre tanti bambini. Non hanno altri posti dove giocare e ora col pericolo della guerra non si allontanano più e si limitano a giocare davanti a casa.
Rispondendo alla Cnn, l’esercito israeliano ha inizialmente affermato di aver colpito “un bersaglio del terrore”, senza fornire ulteriori dettagli o prove. In seguito ha dichiarato di non avere traccia dell’attacco. L’esercito israeliano non ha fornito risposte neanche sulla natura dell’obiettivo o sull’eventuali uccisione di combattenti. Il 19 aprile, intorno alle 22.15, una bomba aerea ha centrato l’abitazione di quattro piani della famiglia di Abu Radwan, nel quartiere di Tal al-Sultan, nella zona occidentale di Rafah. Sono rimasti uccisi nove familiari – sei bambini, due donne e un uomo – e sono stati feriti altri cinque: tre bambini, una donna e un uomo. Sono rimaste ferite anche una donna e la figlia di un’altra famiglia che risiedeva nella casa accanto.
Subhi Abu Radwan, 72 anni, funzionario dell’amministrazione civile in pensione, è sopravvissuto all’attacco in cui sono rimasti uccisi uno dei suoi figli, una nuora, un’altra figlia e sei nipoti: Ero ancora sveglio, i miei figli e i miei nipoti erano già a dormire. Ero al piano terra, non ho sentito l’esplosione ma poi la casa ha iniziato a tremare e hanno cominciato a venire giù polvere e calcinacci. Ho gridato aiuto, sono arrivati i vicini e i soccorritori. Il missile ha centrato il tetto, è sceso al terzo piano ed è esploso al secondo, uccidendo tutti. Solo all’ospedale ho capito chi era morto e chi era sopravvissuto. Morti e feriti erano all’esterno dell’abitazione, tra le macerie: la forza dell’esplosione li aveva scagliati fuori.
Nisrine Saleh, insegnante di 40 anni, un’altra nuora di Subhi Abu Radwan, è rimasta ferita: Per diversi giorni non ho potuto muovermi. I medici dicono che ho riportato danni alle vertebre. Ho avuto paura di rimanere paralizzata ma per fortuna ho ripreso a muovermi, almeno in parte. Ancora non riesco a capire fino in fondo cos’è accaduto alla nostra famiglia. L’hanno distrutta senza alcun motivo.
Dalle fotografie dei frammenti recuperati sul posto, gli esperti di armi di Amnesty International hanno concluso che l’attacco è stato portato a termine con una MPR 500, una bomba di 500 libbre prodotta dall’azienda israeliana IMI. Si nota anche un codice CAGE [identificatore univoco assegnato ai fornitori di varie agenzie governative o di difesa] 0UVG2, che indica che almeno una parte del dispositivo di precisione è stata prodotta da AeroAntenna, un fornitore della difesa statunitense che ha sede in California.
Amnesty International ha esaminato 17 foto e un video del luogo dell’attacco. Il tipo di danni prodotto all’edificio è compatibile con quelli di una bomba aerea di quel peso. Le analisi satellitari del 16 e del 20 aprile mostrano profondi cambiamenti sul luogo dell’attacco e sulla struttura del tetto, a conferma di quanto ripreso dalle foto e dal video da terra e di quanto dichiarato da testimoni oculari.
Il giorno dopo, il 20 aprile, intorno alle 23.20, un attacco aereo ha distrutto l’abitazione della famiglia Abdelal, nel quartiere di al-Jneinah, nella zona orientale di Rafah, uccidendo 20 membri della famiglia – 16 bambini e quattro donne – e ferendo altri due bambini. Tutte le vittime stavano dormendo. Gli unici sopravvissuti – tre padri, un nonno e alcuni bambini – si sono salvati perché si trovavano in una sala dell’azienda agricola della famiglia, a 100 metri di distanza. Hussein Abdelal, il proprietario dell’abitazione, ha perso la madre, due mogli e dieci dei suoi figli, di un’età compresa tra 18 mesi e 16 anni: Continuo a rimuovere le macerie cercando qualsiasi cosa appartenga a mia madre o ai miei figli. I loro corpi sono stati fatti a pezzi. Ho trovato parti dei corpi dei miei figli, senza testa. È una cosa disumana, la bomba ha distrutto tutto: le nostre vite, le nostre case, anche i nostri animali. Perché ci hanno trattati così disumanamente? Non abbiano nulla a che fare con niente, non abbiamo fatto niente di sbagliato. Non riesco ancora a rendermi conto di cosa è successo.
Il crollo dei piani superiori e i massicci danni strutturali subiti dall’abitazione, analizzati da Amnesty International attraverso video e foto ripresi sul posto dai ricercatori dell’associazione, sono compatibili con quelli prodotti da una bomba aerea. Le analisi delle immagini satellitari scattate dalle 07.03 del 20 aprile alle 11.51 del 21 aprile mostrano l’entità della distruzione.