Oro estratto in miniere informali di Paesi africani, spesso finanziando conflitti armati, spedito a Dubai in bagagli a mano e – dopo essere “emerso” negli Emirati Arabi Uniti – volato verso altri Paesi, soprattutto la Svizzera. Un contrabbando del più prezioso dei metalli dalle proporzioni enormi – 2.569 tonnellate di oro, dal valore di 115,3 miliardi di dollari, provenienti da una ventina di Paesi africani in poco più di un decennio – è stato svelato dalla ong svizzera Swissaid con il rapporto “Sulle tracce dell’oro africano”, che ha incrociato dati di import-export con numeri e stime della produzione di oro nel continente. Si tratta di un fenomeno in crescita, anche per l’aumento del prezzo del metallo giallo in questi ultimi anni: “Il contrabbando di oro in Africa è più che raddoppiato tra il 2012 e il 2022”, denuncia la Ong. Swissaid afferma che nel solo 2022 “sono state contrabbandate dal continente africano almeno 435 tonnellate di oro, l’equivalente di 31 miliardi di dollari ai prezzi attuali” e che “la stragrande maggioranza di questo oro è stato importato negli Emirati Arabi Uniti prima di essere riesportati in altri Paesi, in particolare la Svizzera”.
I Paesi da cui viene la maggior parte dell’oro contrabbandato – Secondo il rapporto di Swissaid, tra l’80 e l’85% dell’oro africano estratto nelle miniere informali nel 2022 è stato importato dagli Emirati Arabi Uniti. Le miniere informali sono generalmente prive dei sistemi di sicurezza per la protezione delle persone e dell’ambiente da sostanze tossiche usate per l’estrazione, come il mercurio. Gli Stati africani che risultano più coinvolti dal contrabbando di oro sono il Mali, il Ghana e lo Zimbabwe. I danni provocati da una miniera di oro informale in Ghana, con bambini che per pochi euro al giorno lavorano a contatto con il mercurio – la sostanza più usata per separare l’oro dai sedimenti ma bandita dall’Onu perché provoca danni cerebrali e malformazioni alla nascita – sono raccontati da Valerio Cataldi e Alessandro Spinnato nella puntata “Sulle tracce dell’oro illegale” del programma Spotlight di Rainews24 andata in onda il 24 maggio (ora disponibile su Raiplay).
Il possibile coinvolgimento dell’Italia – “Anche l’Italia è potenzialmente coinvolta in questo commercio di oro di contrabbando dall’Africa – dichiara Marc Ummel, co-autore del rapporto e responsabile dell’unità Materie Prime di Swissaid – perché la maggior parte delle importazioni del metallo prezioso in Italia negli ultimi anni provengono dalla Svizzera e, in misura minore, anche direttamente dagli Emirati Arabi Uniti, due hub globali del commercio dell’oro chiaramente identificati come fattori di rischio”. Ummel commenta così i dati Istat da cui emerge che tra 2020 e 2022 i due principali Paesi fornitori delle raffinerie e dell’industria orafa italiana sono stati la Svizzera (131,562 tonnellate di oro) e gli Emirati Arabi Uniti (104,172 tonnellate). Il nostro Paese è – con il Belgio – tra i maggiori importatori di oro dell’Unione Europea, per la presenza di importanti raffinerie e di distretti orafi tra cui quello di Arezzo, il più grande d’Europa. Nonostante ciò, lo Stato italiano risulta inadempiente nell’attuazione del regolamento europeo 821/2017 sulla dovuta diligenza su oro e altri metalli preziosi provenienti da Paesi in conflitto o ad alto rischio, entrato in vigore nel gennaio 2021, come svelato nella puntata di Spotlight. All’istanza di accesso agli atti con cui abbiamo chiesto al ministero delle Imprese e del Made in Italy quanti dei controlli ex post sono stati effettuati ad oggi sulle aziende che importano oltre 100 kg di oro – come previsto dal regolamento – la risposta è stata: “Nel mese di ottobre 2023, la Direzione generale politica industriale ha provveduto alla pubblicazione sul portale del Ministero dell’intera procedura di selezione del personale per l’esecuzione dei controlli ex post”. In sostanza, a tre anni e mezzo dall’entrata in vigore del regolamento, non solo non sono stati ancora avviati i controlli pubblici, ma non è stata neanche conclusa la selezione del personale che dovrà effettuarli.
Molto oro “riciclato” e pochissimo oro “etico” – Swissaid denuncia come l’oro di dubbia origine importato negli Emirati Arabi Uniti venga spesso fuso per produrre gioielli nel souk di Dubai, nota come “la città dell’oro” o in altre raffinerie del Paese, e poi importato da altri Paesi come oro “riciclato”. L’oro “riciclato” viene spesso pubblicizzato dai grandi marchi della moda come oro dal basso impatto ambientale mentre potrebbe essere anche “estratto tre giorni prima”- afferma Marc Ummel – quindi rischia di essere solo “un’operazione di greenwashing”. “Il rischio è che i clienti confondano l’oro “riciclato” con l’oro “etico” e non cerchino il metallo la cui produzione ha realmente avuto un impatto positivo sui territori in da cui proviene”, commenta Francesco Belloni, fondatore di Altrocarato, il primo banco metalli che fornisce esclusivamente oro con marchio Fairtrade e Fairmined, le uniche certificazioni che pubblicano la miniera di origine dell’oro e garantiscono che questo abbia contribuito allo sviluppo dei Paesi in cui è stato estratto, riducendo al minimo il suo impatto ambientale. Al contrario, organizzazioni come il Responsible Jewelry Council o la London Bullion Market Association non pubblicano la miniera, né il Paese di origine dell’oro delle raffinerie che certificano. Anche se in lieve crescita il mercato dei gioielli etici rappresenta ancora una minima parte della grande produzione orafa italiana: degli oltre 151mila chili d’oro importati dall’Italia nel 2022, erano certificati Fairtrade o Fairmined solo 60: lo 0,04%.
Questo articolo fa parte dell’inchiesta transnazionale “The Gold Chain” finanziata da Journalismfund e #IJ4EU