di Leonardo Botta

Il 30 maggio scorso correva il centenario dell’ultimo discorso di Giacomo Matteotti alla Camera dei Deputati (qualche giorno prima avevo ascoltato, in un teatro salernitano, la toccante rievocazione dell’intervento del deputato socialista nel 1924, in cui contestava appassionatamente, tra le continue obiezioni e interruzioni dei deputati fascisti, la validità delle elezioni politiche svoltesi il mese prima).

La ricorrenza è stata celebrata a Montecitorio in maniera sentita e bipartisan (anche se si sono notate alcune, direi fisiologiche assenze di parlamentari di destra). Significativi sono stati la presenza di Gianfranco Fini (colui che con la svolta di Fiuggi si lasciò alle spalle l’esperienza del Msi, visitando Israele e parlando per la prima volta del fascismo come “male assoluto”) e il commento di Giorgia Meloni: “Oggi siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee”.

Credo che per la presidente del Consiglio questo sia stato l’ultimo tornante di quella tortuosa ma inevitabile strada di avvicinamento a un’auspicabile normalizzazione della sua posizione rispetto alla diatriba fascismo-antifascismo: non credo che Meloni arriverà mai a definirsi antifascista (non lo è, e in fondo ciascuno è ciò che è, non ciò che gli altri vorrebbero che fosse), ma inevitabilmente, prima o poi, verrà il giorno in cui si sentirà pronta, per convinzione o opportunità politica, a riconoscere che Mussolini fu un delinquente (in fondo non le dovrebbe essere molto difficile, avendo lei dato in piena pandemia del criminale all’allora premier Giuseppe Conte).

La cerimonia alla Camera ci ha consegnato due momenti toccanti: il discorso di Matteotti, recitato da un monumentale Alessandro Preziosi, e l’apposizione di una targa in ricordo sul suo scranno, che non sarà più occupato da alcun deputato, come ha annunciato il presidente della Camera Lorenzo Fontana.

A mio avviso, l’unica nota stonata della giornata è stata la presenza di Ignazio La Russa. Non che la seconda carica dello Stato non dovesse presenziare la manifestazione: semplicemente La Russa (quello che conserva i busti del duce, che spacciava i soldati nazisti uccisi dai partigiani in via Rasella per “musicisti semipensionati” e che suole definirsi anti-antifascista) non doveva essere lì al fianco del presidente Mattarella, perché non sarebbe mai dovuto essere eletto alla presidenza del Senato. Ma ormai è fatta.

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