Fermare l’overtourism di massa, che sta distruggendo i centri storici delle città, facendo schizzare in alto i prezzi degli appartamenti ormai inaccessibili a lavoratori e studenti. Ma, anche, permettere ai turisti di conoscere il territorio, le eccellenze del Made in Italy e il modo in cui sono prodotte, evitando però greenwashing o marketing esasperato. Come? Con il turismo industriale o d’impresa, filone che si inserisce nell’ambito del turismo culturale. Un fenomeno caratterizzato dalle visite a imprese industriali e artigianali attive o dismesse e musei d’impresa.

Ne parla in maniera approfondita, nel libro Turismo industriale. Come e perché le imprese del made in Italy possono diventare attrattori turistici (Franco Angeli), Ettore Ruggiero, docente di Economia e Gestione delle imprese di servizi turistici all’Università Aldo Moro di Bari ed esperto e formatore per imprese, enti pubblici e amministrazioni locali. “Le imprese sono luoghi di cultura, perché in qualche modo esprimono il loro territorio, il modo di gestire le risorse, l’attenzione al bello, all’arte, alla storia, alla tecnologia. E l’Italia ne è piena. Le aziende che decidono di aprirsi ai turisti fanno un grande atto di trasparenza”.

Attrezzature che raccontano la storia

Più concretamente il turismo industriale si articola in vari filoni. Quello dell’archeologia industriale, quindi fabbriche dismesse, in genere patrimonio di comuni e di enti locali; oppure musei promossi e realizzati da imprese private o fondazioni, alcuni dei quali di enorme successo. “Basti pensare”, spiega Ruggiero, “che il museo Ferrari è il secondo museo più visitato d’Italia (ma penso anche agli oltre 130 musei della rete di Museimpresa o ai siti come Crespi d’Adda, Villaggio operaio di rara bellezza, dal 1995 Sito Unesco)”. Ci sono poi siti industriali e aziende attive che diventano un luogo di visita o dove fare qualcosa di diverso, ad esempio un concerto, una mostra, uno spettacolo teatrale attraendo pubblici che mai si affaccerebbero in una azienda. E, ancora, c’è un filone che in altri Paesi è molto più sviluppato: quello delle imprese attive – di tipo industriale, artigianale e dei servizi avanzati – che aprono le porte dei visitatori alle loro strutture e impianti produttivi. “In questo caso può servire un aiuto da Regioni o Stato per preservare quelle attrezzature, impianti, materiali e documenti di vario tipo che possono favorire lo storytelling. Ad esempio, se faccio vedere una macina a pietra o un laminatoio di fine ‘800 di un antico pastificio o i nuovi impianti delle industrie molitorie ho la possibilità di raccontare le quattro rivoluzioni industriali che hanno caratterizzato i sistemi di produzione. Eppure spesso le aziende nello spostare o rinnovare i siti produttivi buttano via attrezzature e impianti: un patrimonio notevolissimo, che, se restaurato, può essere appunto di grande utilità per il racconto”.

Le imprese che più facilmente in questi ultimi anni si sono aperte ai turisti sono quelle agroalimentari: cantine, oleifici, pastifici e così via. Ma anche quelle del tessile, dell’abbigliamento, dell’automazione e della meccanica, del design, mobile e arredo casa. “Il turismo industriale è il modo migliore per raccontarsi, così che il turista una volta rientrato può continuare ad acquistare, magari on line”, continua l’esperto.

Meno affollamento, più scoperta dei territori

Aprire le porte ai visitatori, infine, è anche utile per far conoscere professioni e mestieri in un momento in cui c’è un grande disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, perché molte professioni non sono conosciute e non sono più visibili nei borghi o nelle botteghe delle città.

Il turismo industriale, tuttavia, non è facile e non si improvvisa. Bisogna essere attrattivi, occorre professionalità, serve proporre prodotti divertenti, ma anche accessibili, sostenibili. “Pensare non solo alla classica visita di tipo dimostrativo”, spiega Ruggiero, “ma soprattutto ad attività capaci di coinvolgere i cinque sensi e di creare una partecipazione attiva”. Anche le attività ricettive e soprattutto i tour operator, dal canto loro, devono essere preparati, sapere per tempo quali sono gli eventi in programma, quando le aziende saranno aperte ai visitatori, creare anche pacchetti per percorsi specifici. “Ad esempio qui in Puglia c’è il tour ‘Antichi mestieri’ per andare alla scoperta di imprese della ceramica, dei merletti, della carta pesta”.

Ma le istituzioni hanno capito la potenzialità di questo turismo? “Si è capito che non esiste un turista monolitico, ma tanti turisti con diverse passioni e motivazioni di viaggio. Tutto ciò che rappresenta una scoperta dei territori e della conoscenza della cultura locale, delle imprese industriali, artigianali e dei servizi soddisfa chi arriva ma non vuole trovarsi di fronte solo a marketing spinto”, conclude Ruggiero.

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