Che i tempi della giustizia italiana, specie quella civile, siano oltraggiosamente lunghi, non è una notizia da molti anni. Ma se questi tempi incidono sulla vita anche di un solo bambino, allora l’allarme sociale diviene grido di protesta. E la giustizia il suo contrario. Questa è la storia di Mario (il nome, ovviamente, è di fantasia), 7 anni oggi, vittima di una separazione dolorosa tra i suoi genitori ma ancor più vittima di un sistema giudiziario che ha stabilito di esaminare la situazione a lui relativa in una camera di consiglio “successiva al 15 dicembre 2022” ma che da allora, incomprensibilmente, è sparito.

Questa è anche la storia della mamma di Mario, che s’era rivolta al Tribunale per i Minorenni di Venezia per chiedere la decadenza della responsabilità genitoriale dell’ex compagno, padre del bambino, che non vede quel suo figlio già da tre anni, non lo chiama quasi mai, non è presente ai colloqui scolastici né alle visite mediche. Non corrisponde l’assegno di mantenimento. Banalmente, non c’è, anche se per lo Stato continua a essere “padre”. Perché è lo Stato a essere, banalmente, latitante. Ma andiamo con ordine.

Dopo la separazione, la mamma di Mario decide di allontanarsi dalla città d’origine per garantire al figlio una condizione di maggiore serenità e la possibilità di un futuro migliore. Dal sud parte per il nord, il Veneto. È il 2021.

Il bambino frequenta la scuola dell’infanzia e le maestre si accorgono subito che qualcosa non va. “Comportamento irrequieto, espresso dai gesti corporei e continua produzione verbale”; “instabilità emotiva”, “disagio che spesso sfociava in un pianto isterico”, “episodi di scontro con compagni”; rifugio in “un mondo di personaggi fantastici” o racconto “di situazioni immaginarie”: sono parole, anzi emozioni difficili da gestire, che vengono messe nero su bianco nella relazione che l’istituto scolastico consegna ai genitori del piccolo. Anzi, alla genitrice visto che il padre non c’è. Tanto che lei è costretta a firmare “consapevole delle conseguenze amministrative e penali per chi rilasci dichiarazioni non corrispondenti alla realtà”. Ed è sempre la madre, compresa appieno la condizione del figlio, che decide di farlo partecipare a un percorso di aiuto psicomotorio prima in gruppo, poi – su consiglio degli psicologi –, da solo.

Vuole dare il meglio a quel bambino. Vorrebbe anche portarlo a fare un viaggio. Peccato che non possa. Per la carta d’identità valida per l’espatrio serve la presenza del padre, che non c’è. E fortuna che il bambino gode di buona salute: in caso contrario, la mamma non potrebbe – da sola – acconsentire a trattamenti sanitari particolari, per esempio, o a un intervento chirurgico. Ma, soprattutto, Mario sta perdendo il ricordo di quell’uomo, che non si fa vedere da anni né sentire quasi mai. E allora la signora decide di rivolgersi ai giudici: con una scelta dolorosa, incarica l’avvocato barese Marcello Tedesco di intraprendere un’azione civile per chiedere la decadenza della responsabilità genitoriale dell’uomo.

Sottolineatura necessaria: non è di chi scrive il compito di stabilire se un genitore sia o meno all’altezza del suo ruolo, se ottemperi o meno alle leggi. Per questo ci sono i tribunali per i minorenni. O almeno dovrebbero esserci. Ed è questo il nodo centrale della storia di Mario. L’avvocato Tedesco deposita il ricorso al Tribunale di Venezia, che nel maggio 2022 fissa l’udienza per il 9 settembre dello stesso anno (giudice onorario Eros Crepaldi) e dispone che i servizi sociali scrivano una relazione sul bambino. All’udienza, il padre non si presenta né si costituisce: in aula manca del tutto la controparte.

Il 24 settembre 2022, a udienza svolta, il giudice avvisa, non ravvisando l’urgenza, che il ricorso “verrà esaminato in una camera di consiglio successiva al 15 dicembre 2022”. Peccato che di quell’esame non ci sia stata alcuna traccia. “Lo scrivente difensore non ha più ricevuto alcuna comunicazione” si legge nell’istanza presentata dal legale della signora il 5 dicembre 2023, oltre un anno dopo. Pertanto, “chiede di poter ottenere una pronuncia sulle richieste formulate con atto introduttivo, stante la precarietà psicologica che affligge” il bambino “a causa della completa assenza del proprio padre nonché le estreme difficoltà che la ricorrente incontra quasi quotidianamente nella gestione delle pratiche burocratiche del proprio figlio”. Siamo a giugno del 2024, sono passati quasi due anni dal ricorso. Mario sta crescendo, continua ad affrontare le proprie difficoltà, ma la giustizia minorile italiana si è dimenticata di lui.

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