di Carlo Bellisai

I movimenti, prevalentemente giovanili, Fridays for Future, Extinction Rebellion e Ultima Generazione si sono presi il compito di portare all’attenzione del mondo i temi ineludibili della devastazione e dell’inquinamento del pianeta e delle conseguenti catastrofi climatiche. Si tratta di problemi non nuovi, innescati dalla massiccia industrializzazione dello scorso secolo, nella seconda parte del quale si è moltiplicato l’uso delle energie fossili (carbone, petrolio, gas) e dell’energia nucleare, è aumentata in modo esponenziale la produzione di rifiuti, gli oceani sono inondati dalla plastica.

Nei primi ventiquattro anni del nuovo millennio, al di là di dichiarazioni altisonanti e di agende sempre in ritardo sui tempi, si sta continuando sulla stessa china. Il capitalismo predatorio non vuole abbandonare il fossile, mentre già ha messo l’altro stivale sul piatto della speculazione economica che può derivare dalle energie rinnovabili. Parallelamente, l’intensificarsi e l’esacerbarsi delle guerre in atto fa presumere il loro possibile allargamento verso una terza guerra mondiale che, inevitabilmente, riparte da dove è finita l’ultima, ovvero da due bombe atomiche.

Davanti a questo quadro desolante, non possiamo stupirci che la parte più consapevole delle nuove generazioni bussi con sempre più forza alle porte della società, chiedendo al mondo di agire rapidamente per trasformare radicalmente il sistema violento del profitto, dello spreco, della devastazione, dell’ingiustizia. Ma se le istituzioni sembrano affette da sordità profonda e la società nel suo insieme non manifesta sensibilità all’altezza della situazione, ecco che i giovani si ritrovano in qualche maniera indotti a ricercare azioni visibili, eclatanti, capaci di riproporre all’attenzione l’urgenza del problema.

Le azioni nonviolente promosse dal gruppo di Ultima Generazione nello scorso mese di maggio in diverse città d’Italia hanno rappresentato un passo avanti da parte di questa organizzazione prevalentemente giovanile. Innanzitutto perché sono state precedute da un notevole sforzo comunicativo, per allargare la base sociale e coinvolgere più persone possibile, di tutte le generazioni. In secondo luogo, perché sono state portate avanti tutte nello stesso periodo di tempo, come è utile fare quando si vuole realizzare una campagna politica.

Riguardo poi alle singole azioni nonviolente svolte dagli attivisti, è calata una cortina sulla stampa, anche con l’aiuto delle forze dell’ordine che a Roma hanno trattenuto tre giornalisti, impedendogli di fatto di svolgere il proprio lavoro d’informazione. Tuttavia, al netto di repressioni e denunce, la scossa data da questa “ultima” generazione è tangibile. Se ne parla di più, viene presa sul serio, trova simpatizzanti. Ciò che stride con la logica di una società democratica, è che le voci di dissenso vengano zittite od oscurate, che all’appello ultimativo sul rischio ecologico si risponda con gli scudi della polizia.

Ma cosa dovremmo difendere dagli assalti di questa “ultima” generazione? Forse qualcosa che rode nella nostra coscienza? Nessuna sicurezza futura ci viene data dal sistema attuale, che continua ad avvicinarci al preannunciato disastro climatico, del quale già viviamo numerosi esempi locali, sempre più frequenti. Il sistema non lo ignora del tutto come prima, ma continua a sottovalutarlo, dando ragione ai profitti immediati sulle fonti fossili.

Qui sta lo spazio di confronto dialettico all’interno della società civile e dei movimenti che l’attraversano, qui sta la lotta fra la società civile e le istituzioni: lasciare da sola ancora un’ultima generazione, inascoltata? O con un gesto di umile sapienza, ascoltarla, dialogare e magari accogliere i suoi suggerimenti?

*portavoce Movimento Nonviolento Sardegna

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