Con la destra-destra al governo sta arrivando una grandinata di fake-news, le notizie false o manipolate per vari fini, secondo la denominazione attuale. C’è stata anche una mutazione antropologica. Un tempo le falsità erano veicolate da gruppuscoli deviati, tipo i terrapiattisti di ogni genere, che nella loro lucida follia erano però innocui. Diverso è il caso quando l’onda delle fake news è alimentata anche dalle forze governative. Un caso da manuale è l’affermazione della Meloni, al 100% falsa, secondo la quale la nuova riforma costituzionale non toccherebbe i poteri del Capo dello Sato.

Anche la materia fiscale, che più mi interessa, è un campo minato da fake news di ogni tipo e viziata dal negazionismo fiscale. L’ultima trovata in ordine di tempo è che il redditometro light previsto da ministro Leo sarebbe una vessazione per i cittadini onesti. Lo ha detto ancora una volta al Festival di Trento dell’economia (governativa) la premier Meloni che ha affermato di essere contro il redditometro, ma decisa a combattere la grande evasione. Nella mente della premier, nota esperta fiscale, l’evasione sarebbe composta per così dire così da due parti: da un lato abbiamo i cittadini, molti, disonesti per necessità o per cause sopravvenute, dall’altra i grandi evasori, pochi e milionari. Sarebbero questi ultimi la causa ultima del primato mondiale dell’evasione fiscale italiana. Con il corollario che gli evasori di necessità vanno perdonati, cioè condonati con cristiana generosità, mentre quelli grandi puniti severamente, anche se la Meloni ha per ragioni misteriose ridotto le sanzioni.

Questa visione manichea dell’evasione corrisponde a verità oppure è una delle tante invenzioni della premier per carpire i voti degli italiani colpevolmente distratti, pigri o molto interessati? Per fortuna a questa domanda posso dare una risposta circostanziata che ci è offerta dalla relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale. In primo luogo, se seguissimo la linea manichea della premier dovremmo cambiare i soggetti. Restringendo il campo alla sola Irpef, risulta che l’evasione è alta tra coloro che fanno l’autoliquidazione dell’imposta (32,5 miliardi nel 2029), invece è molto bassa tra coloro che se la vedono togliere alla fonte (4,5 miliardi nel 2019). A pagare l’Irpef, insomma, come è stato arci-dimostrato, sono i lavoratori dipendenti e i pensionati. Tra costoro sarebbe difficile trovare i grandi evasori della Meloni, che evidentemente si annidano nell’altra parte per necessità logica.

In secondo luogo interviene una sottile argomentazione matematica: l’evasione va considerata elevata in senso assoluto oppure in senso relativo? È un grande evasore, per citare un caso verificatosi nel mio comune di residenza, un presidente di cooperativa che non ha pagato contributi previdenziali per circa 20 milioni di euro, o un professionista, imprenditore o lavoratore autonomo che evade il 70% dell’imposta, come ci dicono le statistiche? Uno direbbe che sono grandi evasori entrambi. La premier invece è del parere contrario e fa una distinzione. L’evasione fiscale, oramai concentrata pacificamente nel lavoro autonomo, è realizzata secondo lei solo da pochi grandi evasori, che essendo grandi, avrebbero comunque potuto essere individuati da tempo. In questo modo possiamo lasciare in pace quella ordinaria, quella del 70% per intenderci. La teoria che la grande evasione dell’imposta sul reddito sia il risultato della grande evasione di pochi è l’ultima, per ora, perla delle sue fake news fiscali.

La premier, quando non sa cosa dire, si scaglia da vera leader populista contro i “grandi” che farebbero i loro comodi contro il popolo, che invece lei vuole difendere. È accaduto anche nel caso delle banche. Dai banchi dell’opposizione chiedeva interventi contro i profitti delle “grandi” banche, da leader della maggioranza non ha fatto nulla e le banche, grandi o piccole, ne hanno fatto un sol boccone. Lo stesso sta accadendo con la retorica della lotta alla grande evasione. L’annuncio della finta lotta ai grandi evasori serve solo a creare una cortina fumogena.

Il redditometro serviva proprio a questo: ridotte le sanzioni si trattava di scovare gli evasori, compresi quelli grandi della Meloni. Il fisco tecnologico sta facendo passi da gigante e nemmeno l’ignoranza o la malafede governativa potranno interrompere questo processo virtuoso. La Meloni contrattacca, e a chi la critica sfodera i dati sul contrasto all’evasione fiscale in maniera scomposta. Il racconto ministeriale però, come al solito, è ingannevole.

I buoni risultati derivano da due fonti. La prima è l’obbligo della fattura elettronica che ha consentito di porre fine alle praterie dell’evasione dell’IVA (governo Conte 2018). La seconda, dai 20 e passa condoni che hanno segnato la resa legalitaria dello Stato al tempo della melonieconomics. Quindi nessun merito, casomai demerito, dell’attuale governo. Se la fattura elettronica ha fatto bene il suo lavoro, ora si trattava di costruire la seconda gamba, il redditometro dolce del ministro Leo. Ma l’occhiuto controllo della premier a favore delle sue categorie fiscali protette, compresi gli evasori di vario tipo, non ha lasciato scampo al noto professionista che ha dovuto inchinarsi. Il potere politico oggi domina incontrastato sulla conoscenza e sulla ragionevolezza. Ma posso scommette qualche euro che dopo le europee il Leo-redditometro verrà approvato: in primo luogo perché è solo una carezza fiscale, il secondo è perché dobbiamo dimostrare all’Europa di fare qualcosa su questo problema. I soldi del Pnrr rappresentano appena due anni di evasione fiscale: perché l’Europa dovrebbe essere ancora generosa con noi?

Meloni e il suo governo sono dei picconatori dello Stato fiscale. Lo fanno sempre, dalla mattina alla sera, in nome del popolo, ma in realtà contro il popolo. Picconare lo Stato fiscale significa picconare anche l’albero dello Stato sociale che si sta lentamente inclinando, spolpato dalle radici. L’unico rammarico è che non cadrà in testa a questi governanti, ma al popolo sovrano che allora si accorgerà con grande ritardo che la libertà fiscale è la libertà del leone nei confronti dell’agnello, cioè di chi ha più soldi e potere, come è discusso ampiamente nel recentissimo libro di Stiglitz, The road to freedom. Il grande economista spiega una volta di più come non sia il mercato a renderci più liberi ma lo Stato, con le sue spese ed entrate. Questo era vero in passato, ma lo è ancora di più oggi nonostante la assordante retorica neoliberista.

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