Oleksandr Usyk, il nuovo re della boxe mondiale, che dopo 25 anni ha unificato tutte le cinture dei pesi massimi, e che proprio dall’oro olimpico, conquistato a Londra 2012 contro il nostro Clemente Russo, aveva iniziato la sua scalata. Ma anche Anthony Joshua, Volodymyr Klyčko, Lennox Lewis, Joe Frazier, o il più grande di tutti, Muhammed Alì, all’epoca dei Giochi di Roma 1960 noto ancora come Cassius Clay. Oppure per guardare in casa azzurra, i vari Nino Benvenuti, Giovanni Parisi, Roberto Cammarelle. Molti degli atleti che hanno scritto pagine indelebili della boxe sono passati dalle Olimpiadi, spartiacque tra dilettantismo e professionismo in cui si divide questa disciplina. Quello tra pugilato e cinque cerchi è un rapporto per certi versi non semplice, come per tutti gli sport che non vivono nelle Olimpiadi il loro apice, semmai un trampolino di lancio, ma comunque indissolubile. Una storia che però adesso rischia seriamente di interrompersi, nel peggiore dei modi. Il Cio ha scomunicato la Federazione Mondiale. Ed è coinvolta anche l’Italia, che al momento non l’ha ancora abbandonata.
Da anni il Comitato olimpico ha messo nel mirino l’Iba (International Boxing Association), che è sempre stato lo storico organismo internazionale di questa disciplina. Corruzione interna, scarsa trasparenza, a cui si sono aggiunti i legami con la Russia, sono le principali accuse rivolte all’Iba, tutt’ora guidata dal russo Umar Kremlev, dirigente legato a Vladimir Putin. L’associazione non ha mai accettato di riformare seriamente il processo di selezione di arbitri e giudici nelle competizioni internazionali (dal 2004 al 2016 ci sono stati gravi dubbi sull’esito di molti match, il nostro Cammarelle defraudato di un oro a Londra ne sa qualcosa). Ed è sponsorizzata pesantemente da Gazprom, colosso energetico russo che è tuttora la principale fonte di ricavo dell’organismo, di fatto dipendente quindi da Mosca.
Per queste e altre ragioni l’Iba è stata sospesa nel 2019, per essere poi ufficialmente disconosciuta nel 2023, tanto che sia a Tokyo 2021 che a Parigi 2024 il torneo olimpico è stato portato sotto la diretta gestione del Cio. Nelle scorse settimane è arrivata la sentenza del Tas, il massimo tribunale sportivo, che ha respinto il ricorso Iba dando quindi definitivamente ragione al Cio: l’Iba a tutti gli effetti non è più l’associazione mondiale della boxe. A seguito di questa decisione, il n.1 dello sport mondiale Thomas Bach ha posto un ultimatum: dopo Parigi, tutti gli atleti e le Federazioni dovranno essere confluiti sotto una nuova organizzazione internazionale, identificata nella World Boxing. Chi non lo farà non potrà partecipare ai Giochi di Los Angeles 2028 o – peggio ancora – se il nuovo organismo non avrà un numero sufficiente di adesioni, sarà tutta la boxe a scomparire dal programma olimpico, in cui al momento non è presente.
Il problema è che la transizione procede a rilento: ad oggi la nuova associazione World Boxing può contare solo su 29 Stati membri, tanti sono rimasti ancora sotto la vecchia Iba. E tra le Federazioni riottose, insieme com’era prevedibile ai Paesi dell’est e a quelli africani, c’è anche l’Italia. Il presidente Flavio D’ambrosi ha parlato più volte di “grande sfida per il futuro”, e negli ultimi giorni in una nota ufficiale ha lasciato intendere che l’Italia abbandonerà l’Iba (non potrebbe essere altrimenti: se non lo facesse la Federazione italiana rischierebbe a sua volta di essere scomunicata dal Coni). Ad oggi, però, la FPI (Federazione pugilistica italiana) risulta ancora affiliata all’Iba, cioè ad un organismo che non ha più alcun riconoscimento ufficiale, nonostante siano passati due mesi dalla sentenza definitiva del Tas. Un’ambiguità alimentata anche dal fatto che lo scorso febbraio al torneo olimpico di Busto Arsizio erano presenti anche membri Iba.
Questa diffusa ritrosia però ha ragioni profonde. L’Iba è un’organizzazione consolidata, ricca e potente. La World Boxing al momento non ha ancora i fondi, né un calendario di eventi di alto livello, ragione per cui tante Federazioni (tra cui anche la nostra) hanno preferito almeno per gli ultimi mesi continuare a mandare i propri atleti nelle gare Iba. Su questo l’Italia chiede garanzie per il futuro. Sicuramente invece la World Boxing non può e forse non potrà mai mettere sul piatto gli stessi soldi. L’Iba ad esempio ha appena annunciato che elargirà lauti premi (13 milioni di dollari in totale) ai medagliati olimpici a Parigi: una decisione che già aveva suscitato polemiche nell’atletica, ma nella boxe, da parte di un organismo disconosciuto dal Comitato olimpico e con soldi di provenienza dubbia (probabilmente russa), suona proprio come una provocazione. E lo stesso vale per i montepremi degli altri tornei: un argomento molto solido, che rischia di spaccare ulteriormente il movimento. Il pugilato mondiale è a un bivio. Il n.1 italiano, Flavio D’Ambrosi, almeno a parole non ha dubbi: “Non c’è nessun margine di discrezionalità“, spiega a IlFattoQuotidiano.it. “La nostra Federazione seguirà le indicazioni del Coni”.