“It’s a dream for me to be here”. Tradotto: “È un sogno essere qui”. E se diventi portiere del Tottenham a 27 anni, dopo tanta gavetta, è abbastanza scontato dirlo ma soprattutto pensarlo. Solo che “non così bene”. In cinque minuti di intervista, Guglielmo Vicario la scorsa esatte aveva lasciato i suoi nuovi tifosi straniti: “Ma parla davvero così bene?”. Mindset, per restare sugli anglicismi, di un portiere che non ha mai voluto fare le cose per caso, e che non vuole farle nemmeno per apparire. Leggere per credere.

Prima della lingua (che poi tornerà), si deve raccontare un altro episodio, quello che a marzo 2022 aveva spinto il giocatore a ospitare una madre con il suo bambino ucraini scappati dalla guerra. Non una cosa di giorni, ma di due anni: un gesto che non aveva voluto pubblicizzare troppo, ma che per forza di cose è emerso e non poteva essere altrimenti. Ai tempi, Vicario era già all’Empoli e stava diventando sempre più una certezza per la squadra che lo ha consacrato in due anni di Serie A.

Il suo percorso però parte da lontano e per sua scelta. Cresce nelle giovanili dell’Udinese insieme a quella nidiata di portieri che si sta confermando a buoni livelli: Meret su tutti, ma anche Scuffet. Meno noto è Perisan, che con Vicario ha però condiviso l’esperienza in Toscana. Ma perché “per sua scelta”? È stato lui a non sentirsi pronto, da giovanissimo, a spingere per la Serie A: meglio una Serie D in una piazza importante come Venezia, dove è stato protagonista nella promozione in Lega Pro. Poi, dopo quattro anni, passa a Perugia, quindi il salto con il Cagliari dove, da vice di Cragno, esordisce in maniera positiva in uno stadio facile facile come quello di San Siro, contro l’Inter. Il resto è storia.

Che poi, il ruolo del portiere l’ha costruito nel tempo. All’inizio gli piaceva fare il centrocampista (e lo si vede anche da come imposta), poi si è spostato verso la porta: “Mi interessava”, ha detto in qualche intervista. Lo si capisce anche dalla passione per i guantoni: a Perugia è stato sottoposto a un quiz in cui avrebbe dovuto indovinare, solo toccandolo, marca e modello del guanto. E li aveva azzeccati quasi tutti. Le sue ispirazioni? Handanovic che ha conosciuto a Udine e Buffon che vedeva da piccolo in Nazionale.

Quella che ora rappresenta anche lui, chiamato da Spalletti che aveva fatto il suo nome per averlo a Napoli. Ora insidia Donnarumma visto il rendimento avuto al Tottenham nella sua prima stagione in Premier: 38 partite, 61 gol subiti e 7 clean sheet a confermare le prestazioni sempre in crescita di questi ultimi anni. E si torna alla lingua: a Londra continua ad avere un maestro che gli dà ripetizioni di inglese. E ai tempi di Cagliari, dove esisteva in rosa una piccola colonia sudamericana, aveva ingaggiato un docente di spangolo per comunicare nel migliore dei modi con i suoi compagni.

Silenzioso, sì. Ma forse nemmeno troppo. L’Italia dei portieri è anche lui. All’estero, come Donnarumma. Un patrimonio che la Nazionale può sfruttare.

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