1,7 milioni di giovani italiani tra i 15 e i 29 anni non studiano e non hanno un lavoro. Con un acronimo anglosassone, come al solito piuttosto stigmatizzante, vengono definiti Neet (Not in Education, Employment or Training). Si tratta del 16,1% del totale delle persone che ricadono in questa fascia di età, ampia 14 anni. Tra questi, uno su tre è disoccupato, gli altri due sono inattivi. Nell’insieme valori in calo ma che rimangono i più elevati dell’Unione europea dietro alla sola Romania che sfiora il 20%. Se questa non è purtroppo una novità, lo è invece il fatto che, mentre l’Europa ha stanziato fondi ingenti per affrontare questa problematica e che l’Italia rischia di doverli restituirli perché non riesce ad utilizzarli in modo efficace. È ciò che denunciano ActionAid e Cgil nel rapporto “NEET: GIOVANI IN PAUSA”.

A fine 2013 Bruxelles ha messo a disposizione dell’Italia nel periodo 2014-2020 2,7 miliardi di euro. Tuttavia, secondo la Ragioneria generale dello Stato a febbraio 2024, i pagamenti certificati ammontavano a 1,6 miliardi, ovvero il 62% dei fondi stanziati. È doveroso però specificare che si tratta di dati che restituiscono un quadro provvisorio che, solo se confermato al termine della rendicontazione, richiederà all’Italia di restituire all’Unione europea circa 1 miliardo di euro non speso, mancando l’opportunità di contrastare adeguatamente un fenomeno che si stima costi allo Stato italiano circa 25 miliardi l’anno, l’1,4% del Pil italiano.

“Il nostro Paese ha ancora la possibilità di cambiare rotta, mettendo al centro dell’agenda politica la questione giovanile e permettendo alle nuove generazioni di esercitare i propri diritti in ambito lavorativo, economico, educativo e sociale; attraverso, ad esempio, il programma nazionale Giovani donne e lavoro 2021-2027 e le quote del Fondo sociale europeo+ 2021-2027 per il contrasto della disoccupazione giovanile”, dichiara Katia Scannavini, Vice Segretaria generale ActionAid. “In un momento storico in cui la crisi demografica sembra mettere a dura prova il sistema di welfare italiano, è necessario garantire il giusto spazio alle nuove generazioni, assicurando loro condizioni lavorative adeguate, stipendi dignitosi e opportunità di scelta”.

I risultati del programma “Garanzia giovani” concepito per contrastare il fenomeno dell’inattività giovanile non sono incoraggianti. Dall’analisi di ActionAid e CGIL risulta che Garanzia Giovani ha contribuito a reintrodurre nel mercato del lavoro solo il 26% della popolazione Neet. Il programma in circa dieci anni (2014-2023) ha coinvolto circa l’82% della popolazione giovanile residente in Italia che si trovava in questa situazione. Ad accedere al programma sono stati soprattutto uomini (52%) di età compresa tra i 19 e i 24 anni (56,2%) residenti nel Sud Italia e nelle Isole (43,4%).

Di questi, il 47,6% ha completato il percorso intrapreso, ma solo il 32% a sei mesi dalla fine del programma risulta occupata/o. Una quota che comprende prevalentemente giovani in una condizione di maggiore privilegio – 58,8% di uomini del Nord ovest e in possesso di un titolo di laurea (61%) – rispetto a coetanee/i residenti nei territori del Sud o del Centro e con bassi livelli di istruzione. Sebbene nell’ultimo anno sia stata registrato complessivamente un calo dell’incidenza dei giovani NEET sul totale (-2,9%), la quota esclusivamente femminile è viceversa aumentata di circa l’1% rispetto all’anno precedente arrivando a toccare un impressionante 59%, che aumenta nel caso delle giovani di origine straniera (73%).

Nel complesso la maggiore incidenza di giovani Neet viene registrata nel Sud e nelle Isole (28,4% contro il 11,7% del Nord). In Italia il luogo in cui si vive incide ancora profondamente sulle opportunità formative e lavorative delle e dei giovani. La regione Sicilia ha il tasso di incidenza più alto (32,2%), seguita dalla Campania (31,2%) e dalla Calabria (30,3%).

Come spiega a Ilfattoquotidiano.it la professoressa dell’Università di Torino Chiara Saraceno “quello dei Neet è un gruppo di persone estremamente eterogeneo” di cui, ad esempio, fanno parte anche laureati. “Servirebbero quindi politiche diversificate per affrontare un problema che ha molte sfaccettature. Azioni concepite soprattutto per chi, tra questi, è davvero “scoraggiato” e rinuncia a cercare lavoro. Oppure per le giovani donne che spesso diventano inattive perché costrette ad occuparsi dei carichi familiari”. È proprio uno strumento concepito per il sottogruppo più debole e svantaggiato che sembra mancare, tanto che, rimarca Saraceno “Ad aver usufruito del programma Garanzia giovani sono stati soprattutto laureati disoccupati” che spesso sono più a loro agio nel esplorare proposte di questo tipo e a preparare cv. Per i più vulnerabili servirebbero politiche ancora più attive, come andare a cercare queste persone per prospettargli le opportunità, senza attendere che siano loro a presentarsi. Con il nuovo governo, nota la professoressa, non è cambiato nulla o quasi, né positivo, né all’opposto. “Mi stupisce, nota infine Saraceno, che a molti di coloro che si rivolgono a Garanzia Giovani non venga poi offerto un vero lavoro ma il servizio civile“. Una soluzione che snatura sia il programma, sia lo stesso servizio civile.

Per la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione “I giovani nel nostro Paese pagano il prezzo di politiche inefficaci o sbagliate e di un governo che li ha completamente dimenticati. È necessario invertire la rotta, il lavoro deve essere stabile, dignitoso e ben retribuito: per questo stiamo promuovendo quattro referendum per cancellare le norme che lo hanno precarizzato e reso insicuro. I dati di questo report confermano che ad aggravarsi sono le condizioni delle giovani donne e di chi vive al Sud”. Ghiglione aggiunge che “I giovani in condizioni di maggior disagio, nelle periferie e nelle aree più svantaggiate del Paese, senza lavoro o precario e con l’idea che la pensione sia un miraggio, devono sapere che il futuro si può modificare, non hanno bisogno di spot elettorali ma di diritto allo studio, lavoro e Istituzioni realmente vicine ai loro bisogni”.

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