Controllavano i terreni agricoli e l’economica agro-pastorale dell’entroterra Agrigentino. E lo facevano “avvalendosi della indiscussa forza intimidatoria derivante dall’essere riconosciuti quali esponenti di vertice del mandamento mafioso di Santa Margherita di Belice“. Con queste accuse la Polizia di Stato, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ha eseguito cinque misure cautelari nei confronti di altrettante persone, due delle quali già condannate in via definitiva per associazione mafiosa. Tra loro – ritenuti responsabili di una serie di estorsioni e di illecita concorrenza con minaccia o violenza, reati aggravati dal metodo mafioso, e di aver agevolato Cosa nostra – c’è anche Pietro Campo, boss della famiglia di Santa Margherita di Belice, considerato il referente di Matteo Messina Denaro nella provincia di Agrigento.

Il fedelissimo di Messina Denaro – Campo era già in carcere con una condanna definitiva a 14 anni e, secondo quanto ricostruito dagli investigatori dello Sco e della squadra mobile di Palermo e Agrigento, era uno dei pochissimi nella provincia di Agrigento ad avere il compito di interpretare i pizzini di Messina Denaro. Inoltre, a confermare il forte legame tra il numero uno di Cosa Nostra (morto in carcere lo scorso settembre) e Campo, ci sarebbe anche un video: quello registrato dalle telecamere nascoste il 7 dicembre del 2009 in cui si vede un fuoristrada Mitsubishi Pajero con a bordo due persone – una delle quali secondo gli investigatori è proprio Messina Denaro – transitare in una zona di campagna. Quel terreno fa parte dell’azienda agricola di Pietro Campo in contrada Gulfa, tra Santa Margherita di Belice e Torre Pandolfina. A indicare Campo come referente di Messina Denaro, oltre agli elementi acquisiti con le indagini, sono anche due pentiti, Antonino Giuffré e Maurizio Di Gati, con quest’ultimo che ha riferito del ruolo di Campo come interprete dei pizzini del boss di Castelvetrano. A tenere i contatti con la mafia agrigentina, scoprirono gli investigatori grazie ai pizzini trovati nel covo di Bernardo Provenzano, tra il 2005 e il 2006 furono Filippo Guttaduro e Leo Sutera, indicati rispettivamente nei pizzini con ‘121’ e ‘il prof’.

Il contributo di alcune vittime – Le ultimi indagini si sono avvalse anche del contributo di alcune vittime che si sono opposte al sistema di controllo del settore: in alcuni casi dopo la trebbiatura dai proprietari, le derrate sarebbero state acquisite e imballate dagli indagati, senza versare alcun corrispettivo. Grazie al lavoro degli investigatori è emerso “il pervasivo controllo e la gestione illecita delle attività agro-pastorali” nel territorio di Santa Margherita del Belice, Montevago e Sambuca di Sicilia, nell’Agrigentino. fino al confine con Contessa Entellina (nel Palermitano). “Gli indagati, avvalendosi della indiscussa forza intimidatoria derivante dall’essere riconosciuti quali esponenti di vertice del mandamento mafioso di Santa Margherita di Belice – spiegano gli investigatori -, avrebbero attuato un incisivo controllo sull’economica agro-pastorale dell’area nonché sull’utilizzo dei fondi agricoli dell’entroterra belicino”.

Il predominio sui terreni – In particolare, sono stati registrati diversi episodi in cui gli indagati, avvalendosi del metodo mafioso, avrebbero costretto i proprietari e i gestori dei terreni agricoli a cedere la disponibilità di ampie aree di terreno da adibire al pascolo abusivo del bestiame, imponendo il pagamento di canoni irrisori che, in taluni casi, non sarebbero stati nemmeno corrisposti. Il controllo dei terreni agricoli si sarebbe tradotto, in taluni casi, anche in un divieto di esercitare attività agricole collaterali che alterassero il libero pascolo delle greggi, così imponendo di fatto “uno stringente predominio su beni immobili altrui, anche funzionale alla massimizzazione dei profitti derivanti dalla produzione lattiero- casearia”. Lo spessore dei soggetti coinvolti nelle investigazioni ha peraltro evidenziato anche momenti di tensione interna legati al tentativo di alterare gli equilibri del “cartello” stesso: contrasti sempre appianati in una logica di convenienza e di reciproca tutela dei meccanismi di controllo del territorio.

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