Incredibilmente ignorata durante tutta la campagna elettorale per le elezioni europee a favore di diatribe e battibecchi stremanti del cortile nostrano, l’Europa, in uno dei momenti più cruciali e drammatici della sua storia recente, si è presa la rivincita il giorno della Festa della Repubblica. Il merito va a Sergio Mattarella per aver pronunciato una frase molto chiara a cui probabilmente non poteva attribuire un effetto così dirompente: “Tra pochi giorni consacreremo, con l’elezione del Parlamento europeo, la sovranità dell’ Ue”.

Un modo per ricordare a noi cittadini italiani ed europei che facciamo parte di un progetto sottoscritto da 27 paesi impegnati volontariamente ad una cessione di sovranità nazionale per realizzare obiettivi prioritari condivisi, nella traccia dei valori di libertà e democrazia proclamati il 2 giugno 1946 e articolati nella Costituzione.

Prevedere che il riferimento ad una patria nazionale, insieme ad una patria allargata e comune europea, potesse suscitare una richiesta di dimissioni “per coerenza” da parte di un senatore della Repubblica, il leghista Claudio Borghi – e quel che è peggio avallata dal ministro-vicepremier Salvini – non era possibile, nonostante tutto il repertorio escrementizio già esibito.

Naturalmente su richiesta di Giorgia Meloni nell’arco di poche ore Salvini ha tentato una sgangherata marcia indietro, senza peraltro smentire Borghi. Una mossa che secondo il presidente del Senato avrebbe “smontato la polemica” ma che in realtà conferma solo un attivismo scomposto per fare ombra agli alleati e accreditarsi come il vero e unico paladino del sovranismo e del pacifismo all’interno del governo.

A Salvini e al suo stato maggiore che fa riferimento al generale Vannacci deve essere andato di traverso, come a molti rappresentanti di quel pacifismo trasversale che vuole fare sonni tranquilli incurante di qualsiasi principio di giustizia e rispetto minimo dei principi che regolano la convivenza degli Stati, anche la parte dell’appello di Mattarella per il 2 giugno sulla guerra in Ucraina. Al corpo diplomatico straniero, in questa occasione ma anche in vista dell’appuntamento europeo, il capo dello Stato, insieme al richiamo alle enormi sfide e ai pericoli che si sono ripresentati sulla scena internazionale, ha evidenziato il rischio di “baratti insidiosi da rifiutare con determinazione” e ha ritenuto opportuno elencarli: “Sicurezza a detrimento dei diritti, assenza di conflitti aggressivi in cambio di sottomissione, ordine attraverso paura e repressione, prosperità economica in cambio di sudditanza”.

Il parallelismo tra il voto del 2 giugno che “segnò l’avvio della vita democratica e rappresentò per gli italiani una chiamata alla responsabilità” e la consultazione europea, per un parlamento che possa rappresentare non la cappa della burocrazia, il condizionamento lobbistico, le infiltrazioni straniere e la corruzione sempre in agguato, ma i legittimi interessi degli europei in sintonia con le irrinunciabili conquiste democratiche, rimane il filo conduttore del ragionamento di Mattarella. L’analogia tra ora e allora è resa più drammatica da una situazione complessiva ancora più allarmante per le guerre in corso, l’escalation possibile e i ricatti irricevibili di chi come Putin calpesta il diritto internazionale, opprime i più deboli, offre presunta sicurezza e stabilità fondate sul sopruso, ostenta a scopo intimidatorio la repressione delle libertà fondamentali.

Il presidente della Repubblica non dà adito a nessun rischio di equidistanza o “equivicinanza” (ai due popoli), come preferisce definirla Papa Francesco che non ha mai ritenuto di dover definire con nettezza l’aggressore, quando rileva che: “con l’invasione dell’Ucraina, indipendente e sovrana, la Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa e scavato nuovamente un solco tra i paesi del continente che sognavamo in pace e collaborazione liberi e democratici da Lisbona a Vladivostok”.

Ad essere identificato perfettamente nel ragionamento di Mattarella non è solo chi ha scatenato il conflitto, ma anche i cosiddetti, o meglio auto-accreditati, “pacificatori” che, in ruoli e per finalità disparate, comunque poco attinenti a un disinteressato desiderio di armonia universale, mirano a consolidare il proprio potere personale e politico e a indebolire e dividere l’Europa.

Sono tutti a vario titolo fiancheggiatori e/o alleati di Putin: Xi Jinping che ostenta neutralità mentre fornisce armi attraverso il “dual use”, riduce l’impatto delle sanzioni e pare si stia molto attivando per il fallimento della conferenza di pace di Lucerna; Donald Trump che bloccando gli aiuti a Kiev per circa 9 mesi ha permesso alla Russia di organizzare l’offensiva in atto e ha ricevuto l’indignazione ufficiale del Cremlino per la sua condanna, “dimostrazione che negli Usa i rivali sono eliminati con metodi legali”; Viktor Orban che tiene i partner europei sotto il perenne ricatto del suo no ogni volta che si deve votare qualcosa di sgradito alla Russia.

Questi sono i campioni della pace e dell’armonia tra i popoli, quelli che disarmando e umiliando l’aggredito dopo 2 anni e 4 mesi di sanguinosa invasione vorrebbero premiare la Russia e creare un precedente gravissimo per il futuro. Noi, che per fortuna contiamo abbastanza poco, dobbiamo accontentarci delle sparate pacifiste di Salvini e non solo, che ha messo da parte la maglietta con Putin ma non perde occasione per tentare di favorirlo come fanno, consapevoli o meno, tutti i sostenitori della pace purchessia, di destra o sinistra poco importa.

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