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Tiananmen, il ricordo dell’attivista Zhou Qing: “Oggi in Cina l’economia rallenta, potrebbero tornare le proteste”

“Per il Partito comunista cinese sarà sempre un incubo e un tema sensibile. Per noi che l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle e per tutto il popolo cinese, è un ricordo amaro e un ostacolo che non potrà mai essere superato”. A parlare è Zhou Qing, attivista, scrittore e documentarista cinese oggi residente a Berlino, dove si occupa di questioni di contestazione sociale e salvaguardia dei diritti umani.

Trentacinque anni fa, a soli 24 anni, era tra gli studenti che avevano deciso di partecipare alle proteste contro la corruzione del governo e le politiche riformiste (ma non liberali in campo civico e sociale) di quel periodo, trovandosi poi a scontare quasi tre anni di reclusione in carcere per il suo coinvolgimento nel movimento studentesco della sua città natale, Xi’An.

Quello del 1989 è stato infatti un movimento trasversale, con focolai in tutte le grandi città della Cina dell’epoca, cominciato dopo la morte del politico Hu Yaobang e (aprile 1989) e culminato nei drammatici fatti di piazza Tiananmen, quando il 4 giugno 1989 i carri armati dell’Esercito popolare di liberazione hanno raggiunto la piazza principale di Pechino per porre fine con violenza all’occupazione di studenti e lavoratori. Le vittime accertate in quella occasione furono 200, ma secondo alcune stime potrebbero essere state almeno dieci volte tanto e ancora oggi l’episodio rimane una delle pagine più difficili e censurate della recente storia cinese.

Il ricordo del 4 giugno 1989 – “Quello di Tiananmen è stato solo l’episodio culmine di un movimento di protesta che durava da oltre un mese e che ha coinvolto oltre 200 città” racconta Zhou a ilfattoquotidiano.it. “Dopo la repressione egli spari a Pechino le proteste sono proseguite a Shanghai, Changsha, Chengdu e Xi’An per poi essere progressivamente spente”. Di quei giorni Zhou ricorda soprattutto la solidarietà tra giovani studenti e lavoratori, tra manifestanti e le loro famiglie, uniti nel proposito di rinnovare una Cina che le riforme economiche del 1988 stavano cambiando profondamente.

“C’era chi ha scelto la via dello sciopero della fame, chi si è dato fuoco dopo la morte di Hu Yaobang e chi ha marciato per giorni interi. Ma non tutte le proteste erano legate alla promozione di valori democratici e di libertà in Cina”, spiega Zhou. “Molto del malcontento nasceva da ragioni pragmatiche legate all’esplosione dei prezzi dei beni di consumo”. Ragione per cui l’attivista ritiene che anche oggi, mentre l’economia cinese sta vivendo un pesante rallentamento e che le disuguaglianze sociali si fanno più evidenti, “la gente potrebbe tornare a protestare perché verrà meno quella vita agiata che finora ha dato legittimità al Pcc”.

Nel 1989 però, Zhou, come tutti gli under 30 del tempo, in quell’ideale democratico ci credeva eccome. “Partecipavo a una pubblicazione studentesca chiamata Democrazia e libertà interna alla Xibei University”, racconta. “Ma una delle cose più interessanti che ho fatto è stata l’organizzazione di una ‘marcia della bara’, un’opera d’arte performativa che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone e che consisteva nel trasporto di una vera bara di compensato per le vie della città, a cui avevamo affisso la scritta ‘Seppellisci l’oscurità e non la luce’ e ‘Seppellisci la dittatura e non noi’”.

È per manifestazioni pubbliche come questa che dopo il 4 giugno l’attivista è stato condannato a due anni di rieducazione attraverso il lavoro forzato nel centro di provinciale di Zaozihe, nella contea di Fengxiang (nello Shaanxi), per “istigazione alla propaganda controrivoluzionaria”, a cui si è aggiunto un ulteriore anno per avere tentato di fuggire dal carcere.

Censura e resistenza – A 35 anni dall’anniversario di quello che lo stesso attivista per consuetudine terminologica definisce “incidente”, la Cina di oggi è riuscita a costruire una memoria collettiva che ha dimenticato quel periodo, declassato a una “legittima risposta a una ribellione studentesca” dal governo e mal tollerato dai cittadini che non vogliono riaprire vecchie (e ingombranti) ferite.

Lo ha fatto con un misto di educazione patriottica (a partire dal 1994) e di controllo dell’informazione, che oggi vede i principali siti web e social media nella Repubblica popolare censurare sistematicamente parole chiave legate al 4 giugno, dai numeri che ricordano la data (tanto che ogni riferimento, anche il più vago, viene rimosso dal web come accaduto in occasione dei Giochi Asiatici di Hangzhou lo scorso ottobre) fino all’iconografia rappresentativa del periodo (una su tutti, il “tank man, dalla fotografia del giovane studente in piedi di fronte ai carri armati). Ma la speranza del cambiamento rimane.

Secondo Zhou, nonostante siano cresciuti in un contesto digitale e letterario controllato e censurato su alcuni avvenimenti, i giovani cinesi rimangono la chiave per il cambiamento del Paese: “Le nuove generazioni sono sempre state il futuro e la speranza della Cina, come dimostrato dalla campagna dei fogli bianchi del 2022 lanciata in periodo pandemico dai giovani dei grandi centri urbani per protestare contro le restrizioni anti-Covid”.

Silenzio anche a Hong Kong – Il controllo dell’informazione sui temi sensibili per il Partito è però una costante che non accenna a smuoversi. Al contrario, se nella Cina continentale è da sempre impossibile ricordare in modo ufficiale quanto accaduto il 4 giugno 1989, fino a poco tempo fa lo poteva fare a Hong Kong. A partire dal 2020 però, non è più così e la tradizionale veglia commemorativa di Victoria Park è stata sospesa per ragioni di “sicurezza” legate inizialmente alla pandemia da Covid, giustificate poi con l’entrata in vigore della contestata Legge sulla Sicurezza Nazionale.

Hong Kong è la città più compassionevole e giusta del mondo: durante il movimento pro-democrazia dell’89 ha donato denaro e inviato beni di sostentamento ai manifestanti”, racconta ancora Zhou, conservando un approccio positivo sul futuro dell’ex colonia britannica. “La presa del Pcc su Hong Kong è temporanea. Se per una persona nata cieca da entrambi gli occhi non è una disgrazia non conoscere il colore del cielo, per chi ha visto il mondo e ha perso la vista, se avrà la minima possibilità di riacquistarla darà tutta la sua vita. E il popolo di Hong Kong è tra quelli che ha visto la luce”.

Intanto però, la scorsa settimana la polizia di Hong Kong ha arrestato sette attivisti per dei post su Facebook che anticipavano l’anniversario della strage, mentre ieri, l’artista hongkonghese Sanmu Chen è stato fermato dalle autorità in una delle vie principali della città. Il suo crimine? Aver disegnato nell’aria i numeri “8, 9, 6, 4”: quattro giugno 1989.