Non voglio concentrarmi solo sull’arrivo di Antonio Conte al Napoli che, comunque, sta già suscitando invidia tra i tifosi delle altre squadre. Il presidente Aurelio De Laurentiis, come avevo anticipato qualche mese fa su queste pagine, aveva intenzione di adattare il suo, fino a quel momento efficiente, modello di business ai nuovi scenari. Uno scenario che molti imprenditori (di alcuni conosco le poco brillanti performance delle loro aziende) e autorevoli commentatori, spesso privi di competenze manageriali ed economico-finanziarie, non riuscivano a immaginare, impartendo lezioni a chi, nel mondo del calcio, rappresenta un’eccellenza imprenditoriale, come racconto nel libro A scuola da De Laurentiis (Edizioni Ultra).
Ma cosa significa cambiare modello di business?
Il modello di business descrive le logiche secondo le quali un’organizzazione crea, distribuisce e raccoglie valore. È l’insieme delle soluzioni organizzative e strategiche attraverso le quali l’impresa acquisisce vantaggio competitivo. Per realizzare un modello di business vincente, è utile rispondere a cinque domande: qual è la mission aziendale? Chi è il cliente? Cosa apprezza il cliente? Che risultati si vogliono ottenere? Qual è la strategia?
Le aziende, però, indipendentemente dal loro modello di business, sono coinvolte in dinamiche socio-economiche che possono variare repentinamente. Il mondo contemporaneo affronta emergenze inedite, cambiamenti geopolitici e una rapida trasformazione digitale. In questo contesto, il mutamento dei mercati e delle abitudini dei consumatori e dei lavoratori è continuo, rendendo necessario un costante monitoraggio e aggiornamento del modello di business aziendale. E molto spesso gli errori, come quelli commessi da Aurelio De Laurentiis nell’ultimo anno, sono un dono, un’opportunità per gli imprenditori illuminati che, valutando le opportunità derivanti dall’analisi dei gap, accelerano il processo di cambiamento.
Le aziende di successo che rivedono il proprio modello sulla base degli errori fatti non solo mantengono il loro vantaggio competitivo, ma anticipano le tendenze di mercato. Le ragioni principali per cambiare modello di business potrebbero essere la mancanza di sostenibilità economica (non è il caso del Napoli, l’azienda-calcio più virtuosa del panorama italiano dal punto di vista economico-finanziario), il disallineamento dell’offerta con la mission aziendale o il brand, e la necessità di rispondere alle nuove esigenze del mercato.
Ecco il punto! Gli errori dopo la vittoria dello scudetto hanno fatto capire che le esigenze dei consumatori (tifosi e fan) e della stessa proprietà necessitavano di un adeguamento della mission, della struttura organizzativa e del prodotto (lo spettacolo).
Cambiare modello di business può essere un obbligo oppure un’opportunità. Molti imprenditori agiscono spesso sulla base di modelli reattivi, reagendo alle spinte che provengono dai mercati piuttosto che cercare di anticiparle. Non è facile intraprendere un percorso di cambiamento che nasconde insidie ed è caratterizzato da un’oggettiva complessità, soprattutto a causa del rischio d’impresa proporzionale alla dimensione degli investimenti.
A Napoli siamo diventati esigenti; dopo l’abbuffata di caviale, la pasta e fagioli non ci soddisfa più, e la proprietà lo ha capito. Non per fini filantropici, ma perché il rischio di fronte a ingenti investimenti è alto. E se si vuole rischiare tanto, è solo perché si vuole recuperare il valore patrimoniale perso. E per fare questo bisogna tornare a vincere subito, con Conte, l’emblema del manager vincente.
Cambiare modello di business richiede tempo, metodo e determinazione. Per questo motivo è necessario giocare d’anticipo e non sotto la pressione della congiuntura economica o quando ormai è troppo tardi e la sopravvivenza è a rischio. È nei periodi di prosperità che occorre gettare i semi del cambiamento futuro, quando l’organizzazione ha energie e motivazioni per recepirlo e cavalcarlo. Molti imprenditori temono di “rompere il servizio buono” perché conoscono i vantaggi del modello di business attuale e intravedono le insidie del cambiamento e le possibili resistenze.
Ma questo rivela un problema di leadership. La capacità di innovare, immaginare il futuro e contribuire a realizzarlo è una delle componenti più importanti della leadership, insieme alla capacità di cogliere i segnali che indicano per tempo la necessità di cambiamento.
In questo senso, il presidente De Laurentiis ha dato un’altra lezione.