“Credo ancora che si possa riprendere il percorso interrotto del Terzo Polo. Esiste un’area che vale dal 10 al 15 per cento”. L’ultima sfida elettorale di Federico Pizzarotti è con Carlo Calenda: prima delle Elezioni ha rotto con Più Europa, di cui era presidente, e ha aderito ad Azione e quindi alla lista Siamo Europei. Nonostante i flop del passato, le liti e i rancori, l’ex sindaco di Parma crede che un buon risultato della sua lista possa agevolare un progetto di centro.

Federico Pizzarotti, lei ha rotto con Più Europa per colpa di Matteo Renzi. Non si fidava?

A novembre avevamo iniziato a ragionare di Europee e tutti i sondaggi interni ci dicevano che l’elettorato di Più Europa era incompatibile con quello di Italia Viva, mentre era molto compatibile con quello di Azione. La scelta del gruppo dirigente è stata di andare con Renzi. Ho provato a farli ragionare, ma non ci sono riuscito e quindi, coerentemente, ho deciso di candidarmi con l’area che ritenevo naturale per noi.

Lei ha rotto coi 5 Stelle, poi con Più Europa. Non le viene il dubbio che sbagli qualcosa?

A un certo punto i 5 Stelle hanno scelto di mandare avanti solo chi veniva bene in tv ed era fedele alla linea. Più Europa era il posto giusto dal punto di vista valoriale, ma ho constatato che decidono i soliti tre, che poi danno l’indirizzo a tutti. Non mi interessano le critiche di chi mi accusa di cambiare partito.

C’è stata anche la “lista civica” nazionale per le Elezioni 2022, morta nella culla.

Prima c’era un progetto di Gianfranco Librandi, Italia c’è, che avrebbe dovuto unire tante esperienze e favorire la nascita di un polo moderato e liberale, anche con Beppe Sala. Le elezioni anticipate hanno travolto tutto. Ho provato a lanciare una sorta di Lista civica nazionale per quelle Politiche, così da dare una sponda civica al centrosinistra, ma Letta voleva che andassimo con Di Maio e questo non era compatibile con la mia storia, perciò alla fine abbiamo deciso di “schiacciarci” sul Terzo Polo.

I sondaggi prima dello stop dicevano che però Azione rischia di non arrivare al 4 per cento, mentre gli Stati Uniti d’Europa erano qualche decimale sopra di voi.

Accreditare il 4 per cento a Sue vuol dire che non raggiungono neanche la somma di Iv e Più Europa. Renzi non ha appeal, ha solo tanti amici: in passato ha avuto relazioni importanti che continuano a venirgli buone. Quando la politica non segue logiche valoriali e programmatiche, non fa per me.

Sì, ma voi ce la farete?

Io non ho mai avuto dubbi, il trend dall’inizio della campagna elettorale è evidente e dice che ce la faremo.

L’area centrista non è sopravvalutata? Da anni si parla di un 10 per cento potenziale.

Il mio riferimento è un’area moderata e liberale che in Italia oggi è inespressa, perché quando si parla di moderati si pensa alla Dc degli anni 80. Non è così. Dobbiamo ispirarci al modello europeo e parlare di laicità dello Stato, concorrenza, un’impostazione liberale dei temi economici. Se guardiamo ad Azione, Stati Uniti d’Europa, delusi del Pd e di destra, sono ancora convinto che sia un’area tra il 10 e il 15 per cento.

Renzi e Calenda ci hanno già provato ed è stato un disastro.

L’errore è stato accelerare troppo dopo il voto e non allargarsi abbastanza. C’era una road map molto serrata e questo ha creato una frattura insanabile, ma incontro ancora tante persone che mi chiedono perché non siamo tutti insieme.

Gli ego dei leader non aiutano.

L’errore è ricondurre tutto solo a Renzi e Calenda. Non so cosa succederà dopo il voto, vedremo se Renzi andrà davvero in Ue oppure no, se gli eletti della lista Sue saranno tutti renziani e nessuno di Più Europa o cos’altro ancora. Ci sono tante variabili, io auspico un percorso e anche Calenda ha detto più volte che noi di Siamo europei non finiamo con le elezioni, c’è un percorso fondativo per allargare la base ad altri soggetti. A differenza di Renzi, noi abbiamo ancora volontà di federare.

Cosa è rimasto del Pizzarotti che 12 anni fa conquistava Parma coi 5Stelle?

Chi mi conosce saprebbe dare una risposta più distaccata di quanto faccia io. Sicuramente ho imparato che alcune di quelle posizioni erano molto teoriche e in parte strumentali, c’è stata una maturazione. Ma sono rimasti lo spirito di ascolto dei cittadini e il no agli interessi di parte, che siano di categorie produttive, sindacati o altro. Cerco sempre di mettere al centro il cittadino e ragionare con la mia testa.

Sulla guerra in Ucraina siete tra i più netti atlantisti. Nessun ripensamento, dopo più di due anni?

Si negozia solo se c’è una parità: se solo una delle due trincee è armata, non si può negoziare, perciò sono assolutamente favorevole all’invio di armi a Kiev. Dopodiché riconosco anche io che manca del tutto un piano di pace per l’Ucraina, ma il problema è la debolezza dell’Europa, non è possibile che Macron dica una cosa, poi Scholz un’altra e alla fine l’Unione abbia 27 voci diverse.

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