Dopo il Consiglio dei ministri di ieri 4 giugno la premier Giorgia Meloni ha nuovamente ringraziato la Tunisia per la collaborazione nel contrasto all’immigrazione. Che prosegue anche con l’obiettivo di istituire un’area SAR (search and rescue) tunisina, un tratto di mare dove il coordinamento dei soccorsi sia primariamente in capo alla Tunisia. “La prospettiva comune è di formalizzare l’esistenza di un’area marittima che preveda l’intervento delle navi tunisine per svolgere opera di soccorso e ricondurre i migranti nel porto sicuro più vicino, cioè in Tunisia”, ha spiegato Meloni, confermando il convincimento che si tratti davvero di un Paese sicuro nonostante il regime di Kais Saied abbia ormai dichiarato guerra alle opposizioni, con arresti e condanne per giornalisti e avvocati, e aperto la caccia ai migranti con deportazioni di massa, anche di richiedenti asilo, anche di donne e bambini.

L’ultimo, grave episodio lo raccontano gli avvocati dell’Associazione per gli studi giuridici dell’immigrazione (Asgi). Da oltre un anno la repressione costringe molte persone migranti a cercare rifugio ai margini delle città, nei campi ma anche di fronte alle sedi di ambasciate e agenzie internazionali, come quelle dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) a Tunisi. Proprio dove lo scorso 3 maggio è partito lo sgombero indiscriminato di circa 500 migranti lì accampati e poi condotti oltre i confini nazionali, in Libia e in Algeria, o in altri casi in zone rurali e distanti dai centri abitati. Come un gruppo di richiedenti asilo, ricostruisce Asgi in una nota, “trasferito e abbandonato dalle forze di polizia vicino al confine con l’Algeria senza cibo né acqua, lontano da luoghi abitati e nonostante tra loro ci fossero famiglie con bambini piccoli”.

Tra i richiedenti, con il sostegno delle avvocate dell’Asgi un gruppo di famiglie sudanesi ha presentato un ricorso di urgenza al Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Pochi giorni dopo, precisa la nota, “il Comitato ha chiesto alla Tunisia di fornire loro l’assistenza necessaria, compresa quella medica, considerando che nel gruppo ci sono bambini; di non espellere gli autori mentre il loro caso è all’esame del Comitato e di prevenire qualsiasi minaccia, atto di violenza o rappresaglia a cui potrebbero essere esposti in seguito alla presentazione della richiesta al Comitato”. Si tratta, è il caso di ribadirlo, di una richiesta formale del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

“Ma nonostante la decisione del Comitato, i ricorrenti, compresi i minori, sono stati arrestati e detenuti per circa una settimana e processati per ingresso irregolare nel paese. Alcuni di loro, al termine del processo, conclusosi con la loro scarcerazione, sono stati deportati in Algeria“, riferiscono le loro legali. E aggiungono: “L’Italia, nonostante le deportazioni di massa, gli arresti di esponenti della società civile, non ha condannato la condotta del governo tunisino, ma, al contrario, ha confermato di ritenere la Tunisia un paese di origine sicuro e continua a sostenere politicamente ed economicamente i dispositivi di controllo della mobilità messi in atto dal governo di Saied”.

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