C’è chi protesta in una foto, chi protesta con una foto, chi protesta contro una foto.
La fotografia, nel suo intento di documentare e testimoniare – lo sappiamo – difficilmente riesce a essere neutrale. L’obiettivo seleziona, e ogni selezione è già un arbitrio, una presa di posizione, a volte consapevole e a volte no. Se poi parliamo del reportage che ha come soggetto la protesta, la faccenda si fa ancora più delicata. Se c’è protesta, c’è contrapposizione: contro un potere, contro un’idea, contro una legge, contro un avversario politico, contro una guerra, contro una decisione.
Il fotografo si schiera? E con chi? E’ bene che sia chiaro, perché chi guarda le immagini possa prendere le misure, dal momento che possono orientare opinioni e giudizi.
I soggetti sono coloro che protestano, ma se il fotografo si schiera dalla loro parte protesta, insieme a loro, anche lui. Gli uni protestano nelle foto, il fotografo “protesta” con le foto di chi protesta. Poi, a volte, qualcuno protesta contro una foto, denunciando magari il fotografo.
Gli esempi iconici lungo la storia del fotogiornalismo sono molti, e per citarne uno emblematico, esattamente il 5 giugno di 35 anni fa, fu scattata la fotografia dell’uomo che da solo, in piedi e fermo, sfida una colonna di carri armati nei pressi di Piazza Tienanmen a Pechino; questo accadeva all’indomani del massacro di manifestanti, voluto dal governo cinese contro cui questi protestavano da giorni. La foto, pubblicata in tutto il mondo, è nota come “Il rivoltoso sconosciuto”, e sconosciuto è rimasto fino ad oggi. Molte ipotesi si sono fatte sulla sua identità, anche con vere e proprie inchieste giornalistiche, ma nessuna certezza è stata raggiunta; come nessuna certezza abbiamo sulla sua sorte. Dell’immagine esistono diverse versioni, le più diffuse sono quelle dei fotografi Stuart Franklin della Magnum, Jeff Widener della Associated Press e Charlie Cole del Newsweek.
Una fotografia che di quel tragico evento è icona e documento, ma a tutti gli effetti una foto di protesta: il rivoltoso sconosciuto è un uomo che protesta, una protesta pacifica contro la violenza e il sangue dei giorni precedenti e più in generale contro la politica di quel governo.
Proprio per questo ho provato un qualche disagio, anni dopo, quando ho rivisto questa fotografia non sui giornali, bensì perfettamente incorniciata con firma dell’autore in calce e numero della serie limitata; ero alla fiera Paris Photo e l’immagine veniva proposta a caro prezzo da una galleria rivolta a ricchi collezionisti. Non voglio fare il purista o il nostalgico, sono aperto a tutte le ibridazioni e a tutti i mutamenti di pelle e di linguaggio insiti nel percorso della fotografia rispetto al suo tempo, ma qui ho percepito come un cortocircuito: il soggetto di questa foto, in ultima analisi, è la democrazia, ovvero la sua negazione. L’invenzione della fotografia fu anch’essa una rivoluzione democratica: finalmente esisteva un modo di produrre immagini infinitamente moltiplicabili, dunque con una diffusione alla portata di tutti (o quasi).
Così, ritrovarmi con la lotta per la democrazia di piazza Tienanmen ridotta a gioiello prezioso per pochi mi ha spiazzato. Ma perdonatemi, sono tra quei folli che s’illudono che il reportage abbia ancora un ruolo e sia come una sorta di vocazione, dimenticando che il mercato editoriale non è più disposto a sostenerlo e a pagarlo, mentre la bolletta della luce vuole essere pagata: un fotografo al buio è brutta cosa.
Altre fotografie della rivolta in piazza Tienanmen le ritroviamo, proprio in questi giorni, su un libro in uscita che tratta esattamente di tutto questo: non a caso il titolo è “W la Libertad. Fotografie di protesta” (Postcart edizioni); gli autori, Federico Montaldo e Luciano Zuccaccia, hanno raccolto una serie di fotografie corredate dalle testimonianze degli autori o da altri documenti che le contestualizzano storicamente ripercorrendone la nascita. La sinossi del libro, infatti, recita “22 storie di protesta, raccontate attraverso le immagini di 22 fotografi che, animati da passione, giustizia e speranza, hanno fatto luce sulle oscurità dello sfruttamento, della repressione e della violenza, e contribuito a dare visibilità al potere trasformativo dei movimenti di resistenza collettiva.”
A pagina 93, ecco le foto degli studenti in protesta a piazza Tienanmen di Dario Mitidieri, un noto e valente fotografo italiano. Solo pochi giorni dopo, negli stessi luoghi e durante gli stessi eventi, il “rivoltoso sconosciuto” avrebbe condensato in un gesto quella pagina di storia.
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