Treno regionale Rovereto-Bologna, un gruppo di alunni delle elementari in gita scolastica insieme alle maestre. Tutti pronti per scendere, in fila indiana davanti alla porta oscillante genere “va e viene” che separa un vagone dall’altro. Loro, gli alunni, iniziano: “Occhio a’ porta che se famo male”. “Daje”. “So’ Giorgia”.

Diventa così un carosello, da uno all’altro, sgraziati nella loro buffa storpiatura romanesca di bambini del nord, come un gioco del domino fanno a gara nell’inventare e ripetere; come fanno i piccoli, istintivamente, senza capire il senso, senza vera consapevolezza: per loro il gioco è sbeffeggiare con espressioni verbali che però, in questo caso, rimandano a una delle massime cariche dello stato italiano. Un banalissimo aneddoto al quale ho assistito e che dal mio punto di vista fa il paio a quella parte del discorso video, diffuso sui canali social, in cui l’onorevole Giorgia Meloni annuncia l’approvazione del disegno di legge costituzionale della riforma della Giustizia Italiana.

Cito Meloni: “Le cose che non vanno in questa nazione vanno cambiate e più noi cercheremo di cambiarle e più le forze della conservazione si muoveranno contro di noi”. Ascoltando, il rimando evocava un discorso genere episodio di “Guerre stellari” con le forze del male di Darth Vader e la celeberrima frase “che la forza sia con te”. Tradotto che la riforma giudiziaria dell’Italia, più che un importante rimaneggiamento della Costituzione, sia una nuova stelletta sulla mostrina della divisa del proprio partito politico.

Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, lei rappresenta tutti gli italiani (inteso in senso istituzionale, non politico). Il suo linguaggio è importante anche per chi non l’ha votata. Anche per i cittadini che oggi frequentano le scuole elementari. Anche se si è in campagna elettorale (permanente in Italia). Le assicuro che sulla vicenda verbale in Campania tra lei e il “maschio/bullo” ha – per ciò che conta – la mia solidarietà, perché con certe persone la “classe” del tacere è proprio sprecata. Ma domando: “Perché farsi riprendere e diffonderlo in modo istituzionale?”.

Obiettivamente sappiamo quanto spesso oggi le cronache di giornali, siti web e social siano realizzate anche sulla base di fuori onda solo apparentemente rubati, monitorando polemiche costruite a tavolino e, ancora chiedo, quante dichiarazioni di rappresentanti politici poi smentite prima corrano sulle chat di accordi tra collaboratori di esponenti della politica italiana/parlamentari e giornalisti?

Risponderà che lei preferisce la trasparenza all’ipocrisia della menzogna di un video fintamente rubato. Le obietterei che la politica è compromesso; anche nella comunicazione. Tanto l’obiettivo – dare al bullo campano la risposta che meritava – non cambia: perché il passatempo principale della maggioranza di persone è “scrollare” lo schermo dove video passano veloci come gli alberi del panorama dal finestrino di un treno in corsa.

Peraltro non si preoccupi; prima di dare atto di qualche obiettivo raggiunto in politica da una esponente donna in Italia le telecamere indugeranno sempre sulla sua ricrescita dei capelli, sullo smalto – meglio se imperfetto – e sicuramente sui centimetri di tacco delle scarpe che indossa. Nelle redazioni poi – a seconda di come la pensino – gli articoli saranno corredati da fotografie in cui la protagonista del servizio giornalistico risulta più o meno alta o più o meno magra. I testi della stampa italiana saranno sempre scritti con l’articolo determinativo femminile davanti al cognome della donna che fa politica mentre, al contrario, sarà considerato errore l’articolo determinativo maschile davanti al cognome di un politico. E’ la stampa italiana, bellezza. E lei resterà la prima donna eletta presidente del Consiglio italiano della storia italiana.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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