Dunque, oggi abbiamo scoperto che anche i “bravi ragazzi” del centro di Roma, quelli che appartengono alla upper class, che frequentano i licei più rinomati, che si vestono per bene e non ciancicano la gomma, non sono poi tutti così bravi ragazzi. Il caso, questa volta, coinvolge alcuni studenti del Visconti, che hanno affisso in aula una lista di 30 studentesse che hanno avuto una relazione con i compagni, come fossero trofei da esibire.

Da anni leggo la classifica delle migliori scuole di Roma e quelle dei quartieri periferici sono sempre in fondo. I parametri si basano forse sulla sperimentazione linguistica degli istituti e sulla dotazione tecnologica e informatica? Sul mero rendimento degli studenti (calcolato sulla media aritmetica del registro elettronico)? Sui viaggi all’estero e gli scambi interculturali alla modica cifra di 3mila euro a famiglia?

Roma, i suoi mille quartieri e i suoi studenti/e sono fatti di altro.

Ci sono scuole ai margini e poco conosciute, dove molti non metterebbero piede, ma che restano un baluardo di sperimentazione. Certo, non va tutto bene, ma la responsabilità non è solo dei ragazzi, è una responsabilità sociale chi li ha lasciati ai margini. Nei nostri quartieri c’è chi frega, chi prova a perdersi, ma l’alto tasso di dispersione scolastica e la criminalità organizzata che prende a schiaffi le maestre (come nel caso di Ostia) sono un problema prima di tutto sociale e le responsabilità dirette non appartengono ai ragazzi/e, che sono le prime vittime. Nel caso del Visconti il punto di partenza è diverso e chi ha maggiori chance dovrebbe imparare a usarle.
La corsa folle per l’iscrizione ai licei della Roma “bene” è ingiustificata, così come lo è la desertificazione di tutti gli altri.

Negli “altri”, ci sono classi uniche perché gli studenti non sono abbastanza e la risposta di fronte a tanta marginalità è quella di chiudere le scuole anziché aprirne di nuove, investendo al centro e togliendo alla periferia. Questa visione accentratrice crea disparità. Qualche tempo fa uscì una ricerca secondo cui il quartiere di Roma dove si nasce e si studia influenza di gran lunga le opportunità di lavoro, di carriera e di crescita personale di uno studente. Forse è giunto il momento di dare ascolto agli insegnanti che hanno deciso di restare laddove nessuno vuole andare, di potenziare e di spostare l’attenzione sulle scuole considerate di serie B, perché è un investimento sociale.

Si chiama equità, che è un concetto diverso dall’uguaglianza. L’uguaglianza dà tutto a tutti in egual misura, l’equità riporta pari i livelli. Ed è quello che dobbiamo fare, dare uno sgabello più alto a chi parte dall’ultima fila.

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