“Le strade, i mercati e ogni metro quadrato di spazio aperto sono pieni di gente che va avanti e indietro. Quando si cammina per strada le proprie spalle toccano sempre quelle di un’altra persona”. Così un’operatrice di Oxfam descrive la situazione di Mawasi, una delle aeree della Striscia di Gaza designata dall’esercito israeliano come “sicura” e in cui ora si trovano centinaia di migliaia di persone in cerca di un rifugio dopo i continui ordini di evacuazione. “Il cibo scarseggia e le condizioni igienico-sanitarie sono spaventose – spiega Mancano reti idriche, infrastrutture, sistemi fognari e strutture igienico-sanitarie”.

Intanto Oxfam ha lanciato l’allarme sul rischio carestia, che potrebbe colpire 1,1 milioni di persone, metà della popolazione. “La situazione è disperata, perché le autorità israeliane non garantiscono il sostegno umanitario promesso a una popolazione di sfollati. – ha detto Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia – In questo momento è praticamente impossibile distribuire anche quei pochi aiuti che potrebbero entrare a Gaza, a causa dei tempi lunghissimi di autorizzazione necessari per spostarli da un’area all’altra e dei continui ordini di evacuazione. Con il valico di Rafah chiuso dal 6 maggio, Kerem Shalom è l’unico punto di accesso su cui potrebbero essere deviati migliaia di camion di aiuti umanitari fermi a Rafah. Il problema è che si ritroverebbero all’interno di una pericolosissima zona di conflitto. A Gaza non ci sono più “zone sicure”: la settimana scorsa, gli attacchi israeliani hanno ucciso decine di civili in aree dichiarate tali”.

Oxfam poi fornisce alcuni dati per descrivere quanto sta accadendo. “Un numero incredibile di bambini sta morendo di fame. Una recente indagine condotta dalle organizzazioni umanitarie sul campo ha rivelato come l’85% degli intervistati non sia riuscita a mangiare nulla per un’intera giornata, nei tre giorni precedenti alla ricerca. Ad Mawasi, vicino a Rafah, oltre 550 mila sfollati stanno sopravvivendo in condizioni disumane, dovendo condividere una latrina ogni 4.130 persone. A Gaza sta entrando solo il 19% dei 400mila litri di carburante necessari al giorno, per far fronte ai bisogni umanitari di base della popolazione (compresi quelli per i trasporti, fornitura di acqua potabile e rimozione delle acque reflue)”.

Secondo le Nazioni Unite, “l’ingresso di aiuti si è ridotto di due terzi dall’inizio dell’invasione di Rafah. Dal 6 maggio, solo 216 camion di aiuti umanitari sono entrati attraverso Kerem Shalom, appena 8 al giorno. Centinaia di camion commerciali di generi alimentari entrano ogni giorno attraverso il valico di Kerem Shalom, ma portano merci – rivendute oltretutto a prezzi proibitivi – del tutto inadatte per una popolazione malnutrita come bevande energetiche non nutrienti, cioccolato e biscotti. La mancanza di diverse tipologie di beni alimentari è uno dei fattori chiave della malnutrizione acuta che sta colpendo la popolazione. A Deir al-Balah per potersi assicurare anche la tenda più semplice si devono pagare quasi 700 dollari e per la mancanza di spazio, si è arrivati a usare il cimitero locale”

Questo racconto fa parte di una serie di testimonianze Voci di Gaza’ raccolte dagli operatori e dai manager di Oxfam a Gaza che ilfattoquotidiano.it ha deciso di pubblicare. L’obiettivo è avere un racconto in prima persona da parte dei civili a Gaza, coloro che stanno pagando il prezzo più alto del conflitto.

LA PETIZIONE – Oxfam ha lanciato una raccolta firme (si può aderire qui) per “fermare tutti i trasferimenti di armi, componenti e munizioni utilizzate per alimentare la crisi a Gaza”. Un appello rivolto ai governi perché non siano “complici delle continue violazioni del diritto internazionale, adempiendo ai loro obblighi legali e garantendo un cessate il fuoco permanente al più presto”.

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