Chi sarei e cosa farei oggi se Enrico Berlinguer, il segretario del Pci, non ci fosse stato? A quarant’anni dalla sua scomparsa avvenuta l’11 giugno del 1984 (quattro giorni dopo l’ictus che lo aveva colpito durante un comizio a Padova), questa domanda non sottintende retropensieri messianici e mitizzanti su di lui. Sono stato allergico alla mitizzazione di chiunque, tanto più in politica, fin da giovane; invecchiando il realismo ha preso ancor più il sopravvento su eventuali entusiasmi ideologici. Semplicemente, si fa per dire…, mi ritrovo a ragionare sui vari bivi che la vita ci propone lungo il suo percorso; penso al Fato degli antichi e al film Sliding doors (1998), centrato sull’elemento imprevedibile che può cambiarci la vita in modo altrettanto imprevedibile; penso al romanzo di fantascienza Dark Matter (diventato da poco una serie tv), una storia sulla strade che abbiamo preso e quelle che avremmo potuto prendere.
Ebbene, se Berlinguer non ci fosse stato probabilmente nel 1979 non mi sarei iscritto alla Federazione giovanile del Pci, la Fgci; non sarei diventato un militante e un dirigente locale di quel partito; la Federazione comunista di Pavia non mi avrebbe mai proposto nel 1982 di diventare il corrispondente dell’Unità dal capoluogo pavese; quindi forse non sarei diventato un giornalista, mestiere che faccio da 42 anni; senza il giornalismo non avrei mai incontrato tante persone, inclusa Sara, a sua volta giornalista, diventata la mamma di nostro figlio Pietro. Sono parecchie le cose che non mi sarebbero successe, tra impegno politico, attività professionale e vita privata. Invece Berlinguer è esistito e – piaccia o non piaccia – grazie al suo modo di vedere la politica a sinistra e di farla, tra anni Settanta e Ottanta, ha cambiato il partito, ha cambiato l’Italia e ha cambiato anche la mia vita.
Di lui oggi ho in mente ovviamente la linea politica e la grande pacatezza nel proporla: lo faceva grazie a una dialettica marcata ideologicamente ma misurata, sobria, meditata, improntata al confronto, caratterizzata da un carisma personale che non si trasformava mai nell’egocentrismo leaderistico di certi politici odierni. Una voce autorevole e stimata, anche dagli avversari, in anni durante i quali il dibattito civile e i fermenti sociali erano molto focosi. Mi viene in mente pure un incontro con lui quando ero un giovanissimo cronista, durante la sua visita a Pavia nel 1983 (conservo la registrazione su un’audiocassetta); poi un paio di comizi, a Roma e a Milano, cui ho assistito di persona; e i suoi affollatissimi funerali nella Capitale. Ciao Enrico, l’album fotografico che il Pci gli dedicò dopo la scomparsa, è conservato in bella vista su una delle mie librerie.
Torniamo al bivio che il segretario del Pci mi propose nel 1979. Con una premessa: mi interesso alla politica dall’età di 16 anni; nei primi tempi ero vicino alla sinistra extraparlamentare. Sono figlio di un’operaia, Lea Castellini, e di un impiegato, Pietro, che votavano il vecchio Psi nenniano e demartiniano; venivo guidato eticamente e civicamente da zia Luisa, sorella di Lea, insegnante laica e solidamente democratica, di area repubblicana. Mia sorella Maurizia, nata nel 1948, sessantottina doc, contribuiva a fornirmi spunti legati alle speranze dei ragazzi di allora. Ebbene, a giugno del 1979, mentre ero studente universitario a Pavia, presi la tessera della Fgci. Lo feci quando mi sembrò che Berlinguer avesse impresso quella svolta necessaria per far nascere col tempo il partito di sinistra democratica che io avrei voluto (il neonato ma già spregiudicato e rampante Psi craxiano – frequentato per pochi mesi – mi aveva fatto una pessima impressione). Diventai ben presto segretario del circolo universitario dei giovani comunisti, poi della sezione universitaria del Pci; quindi mossi i primi passi nel giornalismo, diventando un cronista dell’Unità, nel 1982.
Sono stato iscritto al Pci finché è esistito, poi non ho più preso tessere di partito, tranne una nell’ultimo anno di vita di Articolo Uno; sono rimasto all’Unità fino al 1998, quotidiano in cui ho imparato il mestiere e ho avuto le esperienze professionali più belle e importanti. Il Pci nel frattempo era diventato Pds. Poi si è trasformato in Ds, quindi in Pd, assorbendo un tot di altri ex (democristiani, socialisti, verdi, eccetera). Oggi – per mezzo del mio lavoro – cerco ancora di mettere qualche granello di sabbia (e di insinuare qualche riflessione) negli ingranaggi del potere, di qualsiasi potere. Il Pd non è il partito che io avrei voluto, anche se spesso (non sempre) negli ultimi vent’anni l’ho votato. Però questa è un’altra storia.
Di certo, seguo questo invito: “Tutto quello che hai visto ricordalo, perché tutto quel che dimentichi ritorna a volare nel vento”. È il proverbio degli indiani d’America che Marcello Mastroianni cita all’inizio del film-documentario di Walter Veltroni, Quando c’era Berlinguer (2014). Penso pure a Pietro Ingrao, l’ultimo grande dirigente del Pci, che se ne è andato a 100 anni nel 2015; ha detto una volta: “Dubitare mi sembrava l’impulso primo da cercare. Sì, vivevo il piacere del dubbio”. Assieme a Enrico Berlinguer, convinse un ragazzo come me, libertario e non comunista (per lo meno, non in modo ortodosso), a scommettere sulla possibilità che il Pci potesse diventare il partito liberale e socialista che in Italia all’epoca non c’era. Insieme, mi convinsero a darmi da fare per riuscirci. In parte ho vinto quella scommessa, in parte l’ho persa, a giudicare da ciò che osservo oggi. Però è stato bello provarci.
Ora i ricordi fluiscono: mi viene in mente Ingrao mentre a Roma, a fine anni Settanta, ci parlava di sogni in una sala piena di fumo, affacciata su via della Vite. E credo che non dimenticherò mai Enrico e quella nostra “antica” stretta di mano a Pavia, in viale della Libertà.
Marco Brando
Giornalista e scrittore
Politica - 7 Giugno 2024
Enrico Berlinguer ha cambiato anche la mia vita
Chi sarei e cosa farei oggi se Enrico Berlinguer, il segretario del Pci, non ci fosse stato? A quarant’anni dalla sua scomparsa avvenuta l’11 giugno del 1984 (quattro giorni dopo l’ictus che lo aveva colpito durante un comizio a Padova), questa domanda non sottintende retropensieri messianici e mitizzanti su di lui. Sono stato allergico alla mitizzazione di chiunque, tanto più in politica, fin da giovane; invecchiando il realismo ha preso ancor più il sopravvento su eventuali entusiasmi ideologici. Semplicemente, si fa per dire…, mi ritrovo a ragionare sui vari bivi che la vita ci propone lungo il suo percorso; penso al Fato degli antichi e al film Sliding doors (1998), centrato sull’elemento imprevedibile che può cambiarci la vita in modo altrettanto imprevedibile; penso al romanzo di fantascienza Dark Matter (diventato da poco una serie tv), una storia sulla strade che abbiamo preso e quelle che avremmo potuto prendere.
Ebbene, se Berlinguer non ci fosse stato probabilmente nel 1979 non mi sarei iscritto alla Federazione giovanile del Pci, la Fgci; non sarei diventato un militante e un dirigente locale di quel partito; la Federazione comunista di Pavia non mi avrebbe mai proposto nel 1982 di diventare il corrispondente dell’Unità dal capoluogo pavese; quindi forse non sarei diventato un giornalista, mestiere che faccio da 42 anni; senza il giornalismo non avrei mai incontrato tante persone, inclusa Sara, a sua volta giornalista, diventata la mamma di nostro figlio Pietro. Sono parecchie le cose che non mi sarebbero successe, tra impegno politico, attività professionale e vita privata. Invece Berlinguer è esistito e – piaccia o non piaccia – grazie al suo modo di vedere la politica a sinistra e di farla, tra anni Settanta e Ottanta, ha cambiato il partito, ha cambiato l’Italia e ha cambiato anche la mia vita.
Di lui oggi ho in mente ovviamente la linea politica e la grande pacatezza nel proporla: lo faceva grazie a una dialettica marcata ideologicamente ma misurata, sobria, meditata, improntata al confronto, caratterizzata da un carisma personale che non si trasformava mai nell’egocentrismo leaderistico di certi politici odierni. Una voce autorevole e stimata, anche dagli avversari, in anni durante i quali il dibattito civile e i fermenti sociali erano molto focosi. Mi viene in mente pure un incontro con lui quando ero un giovanissimo cronista, durante la sua visita a Pavia nel 1983 (conservo la registrazione su un’audiocassetta); poi un paio di comizi, a Roma e a Milano, cui ho assistito di persona; e i suoi affollatissimi funerali nella Capitale. Ciao Enrico, l’album fotografico che il Pci gli dedicò dopo la scomparsa, è conservato in bella vista su una delle mie librerie.
Torniamo al bivio che il segretario del Pci mi propose nel 1979. Con una premessa: mi interesso alla politica dall’età di 16 anni; nei primi tempi ero vicino alla sinistra extraparlamentare. Sono figlio di un’operaia, Lea Castellini, e di un impiegato, Pietro, che votavano il vecchio Psi nenniano e demartiniano; venivo guidato eticamente e civicamente da zia Luisa, sorella di Lea, insegnante laica e solidamente democratica, di area repubblicana. Mia sorella Maurizia, nata nel 1948, sessantottina doc, contribuiva a fornirmi spunti legati alle speranze dei ragazzi di allora. Ebbene, a giugno del 1979, mentre ero studente universitario a Pavia, presi la tessera della Fgci. Lo feci quando mi sembrò che Berlinguer avesse impresso quella svolta necessaria per far nascere col tempo il partito di sinistra democratica che io avrei voluto (il neonato ma già spregiudicato e rampante Psi craxiano – frequentato per pochi mesi – mi aveva fatto una pessima impressione). Diventai ben presto segretario del circolo universitario dei giovani comunisti, poi della sezione universitaria del Pci; quindi mossi i primi passi nel giornalismo, diventando un cronista dell’Unità, nel 1982.
Sono stato iscritto al Pci finché è esistito, poi non ho più preso tessere di partito, tranne una nell’ultimo anno di vita di Articolo Uno; sono rimasto all’Unità fino al 1998, quotidiano in cui ho imparato il mestiere e ho avuto le esperienze professionali più belle e importanti. Il Pci nel frattempo era diventato Pds. Poi si è trasformato in Ds, quindi in Pd, assorbendo un tot di altri ex (democristiani, socialisti, verdi, eccetera). Oggi – per mezzo del mio lavoro – cerco ancora di mettere qualche granello di sabbia (e di insinuare qualche riflessione) negli ingranaggi del potere, di qualsiasi potere. Il Pd non è il partito che io avrei voluto, anche se spesso (non sempre) negli ultimi vent’anni l’ho votato. Però questa è un’altra storia.
Di certo, seguo questo invito: “Tutto quello che hai visto ricordalo, perché tutto quel che dimentichi ritorna a volare nel vento”. È il proverbio degli indiani d’America che Marcello Mastroianni cita all’inizio del film-documentario di Walter Veltroni, Quando c’era Berlinguer (2014). Penso pure a Pietro Ingrao, l’ultimo grande dirigente del Pci, che se ne è andato a 100 anni nel 2015; ha detto una volta: “Dubitare mi sembrava l’impulso primo da cercare. Sì, vivevo il piacere del dubbio”. Assieme a Enrico Berlinguer, convinse un ragazzo come me, libertario e non comunista (per lo meno, non in modo ortodosso), a scommettere sulla possibilità che il Pci potesse diventare il partito liberale e socialista che in Italia all’epoca non c’era. Insieme, mi convinsero a darmi da fare per riuscirci. In parte ho vinto quella scommessa, in parte l’ho persa, a giudicare da ciò che osservo oggi. Però è stato bello provarci.
Ora i ricordi fluiscono: mi viene in mente Ingrao mentre a Roma, a fine anni Settanta, ci parlava di sogni in una sala piena di fumo, affacciata su via della Vite. E credo che non dimenticherò mai Enrico e quella nostra “antica” stretta di mano a Pavia, in viale della Libertà.
Il gesto di Almirante e Berlinguer
di Antonio Padellaro 8€ AcquistaArticolo Successivo
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"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "La Fondazione Gimbe è un ente autonomo e indipendente che ormai da decenni studia e documenta i dati più importanti del nostro Servizio sanitario nazionale. Il suo presidente non ha mai fatto sconti a nessun Governo e a nessuna parte politica come dimostrano chiaramente i Rapporti che annualmente la Fondazione offre al dibattito e ai decisori politici. Ma forse dà fastidio a chi oggi è al governo che proprio dai rapporti Gimbe emerga ciò che la maggioranza si ostina a negare: cioè che stiamo riducendo le risorse per finanziare il Ssn in proporzione al Pil e che non si stanno dando risposte adeguate alla gravità della crisi che attraversa la sanità pubblica in Italia". Lo afferma Marina Sereni, responsabile Salute e sanità nella segreteria nazionale Pd.
"Cercare di minare la credibilità di un professionista serio e stimato ovunque perché non piacciono i numeri -peraltro tratti tutti da fonti ufficiali- su cui fa le analisi -aggiunge- è tipico di una destra illiberale e arrogante. Per questo voglio esprimere al presidente Cartabellotta la mia solidarietà e confermare la stima e l’apprezzamento nei confronti del lavoro prezioso della Fondazione Gimbe".