Quasi sempre inafferrabili, difficili da raggiungere e spesso temuti come imprevedibili. Quando si avvicinano le elezioni, che siano nazionali o europee, la politica si riscopre in affanno alla ricerca disperata del voto dei più giovani. Una caccia dell’ultimo minuto che tradisce gli scarsi tentativi di parlare a ragazze e ragazzi che continuano a essere tanto sotto-rappresentati, quanto poco capiti. Eppure una strada per l’allargare il coinvolgimento esiste ed è anche abbastanza immediata: intervenire sull’età di chi può partecipare alle elezioni. A proporlo ufficialmente, a maggio 2022, è stato il Parlamento Ue: ha auspicato l‘abbassamento dell’età del voto a 16 anni, nel rispetto delle norme dei singoli Stati, e ha chiesto l’ammissione dei neo-maggiorenni alle candidature (senza eccezioni). Da quella richiesta, poco o niente è cambiato. Di sicuro non in Italia dove il limite per l’elettorato passivo è il peggiore dell’Ue (25 anni) e del coinvolgimento dei 16enni neanche si è iniziato a parlare, salvo deboli proposte di Pd e M5s (da Beppe Grillo a Enrico Letta).

Un segnale, nel panorama europeo, arriva quest’anno dal Belgio dove, per la prima volta, si apriranno le urne anche a chi ha 16 anni. Gli altri Stati dove è possibile farlo sono Austria, Malta e Germania. Mentre in Grecia il limite è di 17 anni. Nel resto d’Europa tutto tace. “C’è una reticenza“, spiega a ilfattoquotidiano.it Laura Uyttendaele, ricercatrice dell’Institut de sciences politiques Louvain-Europe, “da parte dei partiti che non pensano di poter trarre vantaggio da questo elettorato. Oltre al fatto che rivolgersi a loro richiede uno sforzo, un cambio di linguaggio e di strumenti”. Per questo, “spesso è più facile mantenere lo status quo”. Salvo poi, il giorno dopo le elezioni, mostrarsi preoccupati dai tassi alti di astensione.

Gli effetti dell’allargamento dell’elettorato attivo – Abbassare l’età di chi accede alle urne a 16 anni in tutti i 27 Stati membri, farebbe passare l’elettorato attivo da 366 milioni a 375 milioni di persone (+2,5%). Come analizzato da uno studio del centro di ricerca del Parlamento Ue (“Youth participation in European Elections – dicembre 2023), seppur ancora pochi i dati e le analisi su chi lo ha già sperimentato, gli effetti già si notano. Una ricerca condotta in Germania sulle elezioni 2021, sostiene che chi accede presto al diritto di voto, poi vota fino a un’età più avanzata. Un risultato confermato anche dalle ricerche fatte in Scozia, dove però la predisposizione alle urne viene associata anche ai corsi di educazione civica a scuola e alle occasioni di coinvolgimento di chi è più giovane. Le analisi dei dati in Danimarca inoltre, hanno rivelato che l’accesso precoce ha un’influenza anche sui genitori che si sentono in dovere di “dare il buon esempio” andando a votare. E uno degli aspetti su cui si concentrano di più gli esperti è la predisposizione maggiore alle urne di chi ha 16\17 anni e vive ancora con la famiglia e conosce di più la sua comunità, rispetto a chi invece è maggiorenne e magari si è allontanato da casa. Conclude lo studio del Parlamento Ue, sulla base dei dati a disposizione non risultano effetti negativi sull’allargamento dell’elettorato attivo. Ma, si fa presente, perché ci siano effetti sull’astensione, servono anche altri interventi: dall’introduzione di quote, alla possibilità di voto online o per posta fino alla promozione di programmi scolastici specifici di educazione civica.

L’affluenza: come i giovani possono cambiare gli equilibri – Secondo gli ultimi dati, sono 23 milioni gli elettori che voteranno per la prima volta quest’anno. Una quota che, osservano gli esperti, potrebbe avere un grande peso sul risultato finale. Sono stati i giovani, in particolare la fascia 15-24 anni, a determinare nel 2019 la crescita dell’affluenza alle urne (passata dal 42,6 al 50,7 per cento). Ora, stando alle rilevazioni dell’Eurobarometro 2023, è la porzione di popolazione che ha una visione più positiva che negativa dell’Europa. E questo rispetto agli over 55 che invece sono nettamente più pessimisti. L’ultimo sondaggio di Eupinion, rivela che il 78% dei 16-25enni voterebbe a favore in un referendum per restare in Ue, solo il 65% dei più anziani. Se guardiamo all’Italia però, come evidenziato da Lavoce.info, la quota di under 24 critici con l’Ue è più alta rispetto agli altri Stati: il 25% degli italiani contro un media del 15 dei loro coetanei dell’area Nord Ovest. La rilevazione di Webboh Lab, fatta in Italia tra circa 20mila 12-25enni, mostra che il 73 per cento non è propenso a votare, mentre lo farà il 60 per cento dei maggiorenni. Solo il 30% però, si sente sia europeo che italiano. A livello europeo, quella generazione, interpellata pochi mesi fa per l’Eurobarometro, si aspetta che “la classe dirigente ascolti di più le opinioni e i bisogni” (33%) dei giovani e che faccia più sforzi “per integrarli nel mondo del lavoro” (30%) e per includere chi è svantaggiato (28%). Mentre all’Europa chiede che garantisca pace e sicurezza (37%), aumenti il lavoro (33%), combatta la povertà (32%) e il cambiamento climatico (31%) e promuova i valori Ue, la democrazia e i diritti umani (27%).

Il gap di rappresentanza: l’età dei candidati – Quando ci si interroga sul perché i giovani non vadano a votare, non è secondario guardare all’età di chi è candidato. Perché un ragazzo o una ragazza dovrebbero sentirsi rappresentati dalla corsa di qualcuno che li reputa abbastanza maturi per esprimere una preferenza, ma non per sedere nelle istituzioni? Anche su questo fronte, il quadro europeo è molto vario. L’Italia è la peggiore, insieme alle Grecia, con l’età minima per candidarsi di 25 anni. In 15 Stati basta avere 18 anni, in nove ne servono 21 (ad esempio in Polonia, Bulgaria e Slovacchia), in Romania il limite è 23. L’ultimo Parlamento Ue aveva un’età media di 49 anni e mezzo (in calo rispetto ai 53 della tornata precedente). Come sarà il prossimo, difficile dirlo, ma resta il fatto che le candidature nel nostro Paese restituiscono già una fotografia: l’analisi di PagellaPolitica sulla base dei dati del Viminale, dimostra che l’età media è di 52,8 anni: M5s i più giovani (49,7), Fdi e Pd sotto la media (50,8 e 51,4) e Pace Terra Dignità di Michele Santoro i più anziani (58,4). I candidati under 35 vanno dal 19,5% della lista di Alleanza Verdi-Sinistra al 2,8 e 1,4 per cento di Lega e Fi. La media è di 9,6 per cento: cioè meno di uno su dieci è under 35.

L’esperimento del Belgio – L’ultimo Stato ad aver abbassato il voto fino ai 16enni è il Belgio: qui è stato reso obbligatorio, proprio come per tutti gli altri elettori, anche se senza sanzioni in caso di astensione. “Ci aspettiamo più di 280mila nuovi elettori alle urne”, spiega Uyttendaele dell’Institut de sciences politiques Louvain-Europe che si occupa proprio del voto ai più giovani. “Ma l’iniziativa deve essere accompagnata da sensibilizzazione e informazione politica perché, anche se tutti gli studi di psicologia sociale e di comportamento dimostrano che a 16 anni si ha la capacità di prendere le proprie decisioni” e “di non essere così tanto influenzati da famiglia e amici”, “servono però delle attività che li accompagnino in questa fase” per creare una “abitudine al voto”. Ad esempio, corsi di educazione civica a scuola, come sono già stati sperimentati in Austria, o l’organizzazione di “piccoli parlamenti” o dibattiti in classe. Non basta allargare il diritto di voto. “Servono altre azioni”, continua. “I ragazzi non possono essere solo buttati nella mischia”. Ad esempio, ricorda la ricercatrice, in Belgio si stanno sperimentando vari strumenti di democrazia diretta e partecipativa. “I giovani devono sentirsi ascoltati, inclusi nel processo decisionale al di là del voto ogni cinque anni. Domandano altre forme di partecipazione, non solo votare. Devono sentire di avere un posto, che sono legittimati a contribuire alla vita politica. Molto spesso se domandiamo loro se sono interessati alla vita politica, diranno di no perché immagino subito le istituzioni, il Parlamento e il governo. Mentre se chiediamo se sono interessati delle questioni politiche e delle società, scopriamo che c’è un grande interesse”. Ma a chi serve il voto dei giovani? “C’è una tendenza a credere che allargare l’elettorato attivo beneficerebbe di più la sinistra o i partiti ecologisti”, continua Uyttendaele. “Ma non è quello che mostrano gli studi. I giovani sono anche molto attirati dall’estrema destra. La riluttanza” nell’appoggiare la proposta “viene spesso da parte dei partiti che credono che non otterrebbero questi voti”. In generale però, aggiunge: “I giovani non sono un gruppo omogeneo, ci sono molti sottogruppi”. E, rivolgersi a loro “richiede molti sforzi”: “I partiti devono uscire dalle loro abitudine. Perché i candidati non usano lo stesso linguaggio e spesso non usano i social network”. Inoltre, la diversa età crea “una distanza tra i candidati e i cittadini” e questo vale soprattutto per i giovani. In generale, si registra ancora una forte resistenza della vecchia politica. “C’è reticenza. Può essere una paura elettorale”, chiude Uyttendaele, “e poi lo status quo è la soluzione più semplice. Mentre riformare è sempre più complesso”. E nell’attesa, il resto dell’Europa (Italia in testa), preferisce restare immobile.

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