Sono almeno 45 i presidenti di Regione finiti sotto inchiesta, con diversi esiti giudiziari, negli ultimi tre decenni. È il dato che emerge da una lunga inchiesta di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez in edicola da sabato 8 giugno. Prendendo spunto dal caso Toti in Liguria, FQ MillenniuM racconta i principali casi giudiziari che hanno coinvolto i 19 enti regionali e le due province autonome italiane da Tangentopoli a oggi. In Sicilia, per esempio, degli ultimi cinque presidenti, quattro sono incappati in guai giudiziari. Ma non ci sono solo i “governatori”: da Nord a Sud sono numerose le indagini che hanno coinvolto assessori, consiglieri, dirigenti, funzionari…

Si va dalle vicende più note, come quelle che hanno portato a condanne definitive per Roberto Formigoni in Lombardia (corruzione) e Totò Cuffaro in Sicilia (favoreggiamento a Cosa nostra), fino agli ormai dimenticati scandali delle “spese pazze”. Per esempio, l’ex presidente del Piemonte Roberto Cota, condannato in via definitiva per la vicenda resa famosa delle “mutande verdi” acquistate coi fondi del gruppo della Lega in Regione, oggi è candidato alle elezioni europee di Forza Italia.

“In una graduatoria del 2019 sugli indicatori di corruzione a livello regionale, Calabria ed Emilia-Romagna risultano quasi appaiate, dodicesima e nona”, commenta nella sua analisi il politologo Alberto Vannucci. Un simbolo per tutti, il processo Aemilia, che ha messo in luce i rapporti fra imprenditoria e ‘ndrangheta in zone fra le più progredite d’Italia. “Neppure gli anticorpi di un infaticabile senso civico riuscirebbero ormai a controbilanciare la forza irresistibile di nuove (e vecchie) tentazioni”, scrive Vannucci. Tentazioni che si annidano negli oltre 200 miliardi di euro che le Regioni italiane spendono ogni anno.

A proposito, colpisce quanto le indagini per voto di scambio politico-mafioso siano frequenti anche nelle regioni del Nord: non solo nel recente caso della Liguria, ma anche in Lombardia, dove l’assessore alla Casa dell’ultima giunta Formigoni, Domenico Zambetti, è stato condannato in via definitiva per aver acquistato pacchetti di voti dalla criminalità calabrese; e in Valle d’Aosta, dove ben tre presidenti sono finiti sotto inchiesta e poi assolti. Per i giudici erano consapevoli della reale natura dei loro interlocutori, ma non è stata trovata traccia di favori fatti in cambio di voti.

Ed è così che uno dei campioni del regionalismo italiano, Piero Bassetti, 95 anni, che nel 1970 fu presidente della neonata Regione Lombardia, mette nero su bianco la sua delusione: “Le Regioni erano state fatte in modo da avere irreversibilmente sputtanato il discorso regionalista”, afferma in un’intervista concessa a Roberto Casalini. Bassetti, all’epoca sinistra Dc e alla guida dell’omonimo gruppo tessile, racconta che la sua disillusione montò ben presto quando, durante i suo mandato, avvenne la regionalizzazione delle Ferrovie Nord, che erano di Edison: “E subito, tac, c’è stato il problema della ‘stecca’. Io lì, poco eroicamente, ho detto: non ne voglio sapere niente, ma ho capito che la malattia era cronica”.

Lo conferma una vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie, Adriano Zampini, il primo “faccendiere”, di cui fa un ritratto Ettore Boffano. Ben prima che esplodesse a Milano l’indagine Mani pulite, la tangente si era già fatta local: “Alla fine ho contato che, quando c’era ancora la lira, ho versato ai politici 6,8 miliardi”, afferma il 75enne oggi imprenditore, che fu arrestato nel 1983 per un caso di corruzione al Comune di Torino, denunciato e reso pubblico dall’allora sindaco Pci Diego Novelli. “Oggi”, commenta Zampini, “mentre leggo le cronache di Genova, penso che adesso la politica è fatta da terze, quarte file rispetto ai politici di allora. Straccioni, gente davvero da poco”.

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