Il ministro Salvini svela il suo presunto “Piano casa”, ma lo fa non da ministro – presentando cioè un suo disegno di legge vagliato e approvato in Consiglio dei Ministri. Lo fa presentandolo lui in conferenza stampa tra gli emendamenti della Lega al suo provvedimento cosiddetto Salva Casa. Questo in Italia sembra normale.

Vediamo quale sarebbe questo emendamento, inserito tra quelli illustrati dal ministro Salvini, che dovrebbe “rafforzare le semplificazioni del decreto-legge nel settore dell’edilizia privata, ma anche di promuovere un nuovo paradigma delle politiche abitative come risposta efficace ai bisogni della persona e della famiglia”.

Ecco la sua proposta di “Piano Casa Italia”. La specifica della nazione serviva, perché magari si allarmavano in Europa. L’emendamento illustrato da Salvini intende affidare al ministero delle Infrastrutture, ovvero a se stesso, il compito di adottare un Piano nazionale volto a fornire risposte concrete al disagio abitativo tramite il riordino e la sperimentazione di “modelli innovativi” di edilizia residenziale e sociale. Salvini dimentica o fa finta di non sapere che tra le deleghe ha proprio le politiche abitative.

Questo Piano è per il ministro un volano per una piena rigenerazione della dimensione urbana, che sarà attuata mediante la valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente e il contenimento del consumo di suolo. Al fine di realizzarlo, il ministro Salvini si affida ad una grande novità (per dire): ai modelli di cooperazione pubblico-privato, che coinvolgendo i principali operatori del mercato del credito con una vocazione sociale (si sa, in Italia gli operatori di mercato hanno un animo sensibile nascosto dietro al portafoglio), dovrebbero finanziare progetti di edilizia residenziale e sociale.

Attenzione alle parole, perché ora diventano importanti. Secondo l’ineffabile ministro, grandi operatori economici – quindi immobiliaristi e banche – presi da una straordinaria illuminazione sulla via di Damasco, sarebbero così sensibili da finanziare progetti di edilizia residenziale e sociale, basati probabilmente su immobili pubblici lasciati in degrado e vuoti, per farne edilizia residenziale sociale, quindi con una remunerazione per loro, ma con costi contenuti, anche se non ancora ben chiariti.

Scrivevo che le parole sono importanti, perché a mio dire stiamo per assistere in forme nuove ad un nuovo sacco delle città, questa volta non indirizzato ad accapparrarsi aree ma sugli immobili pubblici e privati oggi inutilizzati, che verrebbero così “valorizzati”.

Le parole sono importanti, perché per esempio Salvini non parla mai di edilizia residenziale pubblica: infatti non si tratta di un Piano casa che parte dal fabbisogno reale, cioè il suo Piano non prevede case popolari, solo alloggi sociali, dei quali non potrà beneficiare nessuna delle 700mila famiglie nelle graduatorie, nessuna del circa milione di famiglie in affitto ma con redditi da povertà assoluta, quasi nessuna delle oltre 30mila famiglie sfrattate con forza pubblica ogni anno nel nostro Paese.

In realtà Salvini mai ha citato, né oggi né in alcuno dei suoi passaggi parlamentari, le famiglie nelle graduatorie, quelle in povertà assoluta in affitto o sfrattate. Per lui e il sodale governo queste famiglie non esistono: sono frutto, esse, della loro incapacità di affrancarsi dalla povertà, in fondo sono famiglie sfigate, alle quali sono stati tolti perfino quei pannicelli caldi di contributi affitto e morosità incolpevole.

No, il ministro delle Infrastrutture punta a ben altro, ad appaltare le politiche abitative a privati anche in forma di cooperative, per rispondere ad un fabbisogno che può essere ben più remunerativo degli affitti sociali delle case popolari. Il fabbisogno al quale vuole rispondere è quello più ricco destinato a famiglie del ceto medio, a studenti fuorisede, alle forze di polizia, ai padri separati, a pensionati (non certo quelli che prendono 700 euro al mese).

Siamo di fronte ad un imbroglio. Sarebbe necessario esattamente il contrario di quello che propone Salvini, che non a caso il suo Tavolo ministeriale lo ha infarcito di operatori economici e di associazioni di proprietari, escludendo tutti i sindacati inquilini senza eccezione alcuna.

Sarebbe necessario un vero Piano pubblico che finanzi Comuni e università per realizzare 500mila case popolari nei prossimi cinque anni, queste sì a consumo di suolo zero perché basate sul riuso di immobili pubblici, compreso il demanio civile e militare, da destinare a ulteriori case popolari e studentati pubblici con il massimo dell’efficienza energetica. Servirebbe rifinanziare il recupero delle 90mila case popolari oggi inutilizzate per mancanza di manutenzioni. Servirebbe togliere dalla legge 431/98 il canale a libero mercato per ottenere veri accordi locali che ridurrebbero gli affitti, visto che gli attuali valori non sono in linea con i redditi delle famiglie che possono solo chiedere alloggi in locazione.

Servirebbe che su questo tema entrasse davvero nell’Agenda politica, con una impostazione che, certo, deve vedere il coinvolgimento di operatori economici e cooperative, ma con una idea chiara e strutturale di politiche abitative che siano pubbliche. Non servono battute o spot una tantum da parte della politica. E’ necessario riannodare i fili di politiche abitative che rispondono ai fabbisogni reali, non ai fabbisogni delle lobby economiche degli immobiliaristi.

Un segnale che riporti anche chi è povero e in disagio abitativo vero alla politica e alla partecipazione, perché è tra queste famiglie che si riscontra il non voto. E’ per questo che probabilmente il ministro leghista e questo governo non le tengono in considerazione, eppure sono milioni di persone, anche elettori.

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