La scena ha assunto subito i contorni della catarsi. Sul prato verde di Craven Cottage un ragazzo di 22 anni corre verso la bandierina del calcio d’angolo. Ha il torace fasciato da una maglietta blu e il numero diciannove scritto in bianco sulla schiena. Ma soprattutto, non la smette un attimo di urlare. Prima mulinando i pugni chiusi. Poi battendo forte la mano destra contro lo stemma che porta sul cuore. È il diciannovesimo minuto del primo tempo. E Armando Broja ha appena segnato il gol che vale il 2-0 del Chelsea sul Fulham. In verità quella rete non l’ha segnata proprio lui. Il difensore avversario Tim Ream ha provato ad anticiparlo e gli ha fatto carambolare addosso il pallone. È un gollonzo che viene celebrato a perdifiato dai Blues. Perché consente alla punta albanese di uscire una volta per tutte dal gorgo nero in cui era stato risucchiato.

A dicembre del 2022, mentre si giocavano i quarti di finale del Mondiale in Qatar, Broja si era rotto il crociato anteriore. Contro l’Aston Villa. In amichevole. Ad Abu Dhabi. Una storia che assomigliava molto a una barzelletta. Solo che non faceva ridere nessuno. “Non avevo mai subito un infortunio così grave – ha raccontato Broja – Ero confuso, non sapevo cosa stesse succedendo. Urlavo. Sono quasi certo che tutto lo stadio mi abbia sentito. È stato devastante“. È in quel momento che Armando ha smesso di essere un giocatore ed è diventato un paziente. Per ben dieci mesi. La riabilitazione è un percorso lungo e complicato. Specialmente per chi lo affronta per la prima volta. Parlando del suo percorso Broja ha utilizzato una frase dal suono sinistro: “Sono stato costretto a letto per un po’, così ho dovuto imparare di nuovo a camminare quasi da zero sul mio ginocchio malato“. Non il massimo per uno chiamato a scattare in continuazione durante una partita.

L’incubo dura nove mesi. Fino al 24 settembre 2023, quando Broja torna in campo proprio contro l’Aston Villa. Il gol contro il Fulham arriva otto giorni più tardi. Ma quello che sembra il paradiso, si trasforma in un lungo purgatorio. I mesi di inattività si fanno sentire. E l’albanese accusa qualche problema fisico. Fino a gennaio parte sei volte titolare con il Chelsea. Ma non segna più. L’unico acuto arriva contro il Preston North End, nel terzo turno di FA Cup. Non esattamente un bottino da bomber implacabile. A gennaio si fa avanti il Fulham. È interessato a prendere il ragazzo. Ma in prestito. La seconda fase di stagione è ancora più complicata. Broja gioca appena 8 partite. E tutte da subentrato. Il totale è misero: un assist in 80 minuti giocati. Eppure in tanti sono ancora convinti che Armando sia un predestinato. Qualsiasi cosa voglia dire.

Le sue caratteristiche lo rendono un giocatore potenzialmente importante per qualsiasi club. Il suo fisico è possente (è alto 190 centimetri), eppure riesce a muoversi con una velocità sorprendente. Una dote che, sommata alla sua tecnica, gli consente di giocare sia come esterno sinistro pronto ad accentrarsi per concludere in porta con il destro, sia come prima punta capace di attaccare la profondità. Eppure la caratteristica che lo rende speciale è un’altra. E l’ha appresa in famiglia. I suoi genitori, Blerina e Xhevahir, hanno lasciato l’Albania e si sono stabiliti in Inghilterra. Armando è nato a Slough, un borgo di pendolari a mezz’ora da Londra, ma anche sede di una sconfinata area industriale. Il calcio per Broja è diventato presto una missione. Quando era piccolo suo padre gli ripeteva: “Armando, non puoi smettere di giocare a calcio finché non porti l’Albania ai Mondiali!”. Era una battuta, ma solo in parte. Xhevahir diventa così una figura di confine. Un po’ padre, un po’ allenatore, un po’ motivatore, un po’ figura asfissiante. Fra i due si crea più o meno lo stesso rapporto che tiene insieme Mike e Andre Agassi, ma con la differenza che Armando non è mai arrivato a odiare il calcio per colpa delle fissazioni del genitore.

“Tutto è iniziato con mio padre – ha raccontato Broja un paio di anni fa – lui ha sempre avuto una grande voglia di aiutare i suoi figli a realizzarsi. Ripeteva: ‘Hai solo 24 ore in un giorno e ne passi quasi la metà a dormire!’. Se mi vedeva seduto a giocare a Fifa mi diceva: ‘Invece di passare un’ora alla PlayStation, potresti passare quell’ora ad allenarti’. Così ci siamo allenati davvero molto“. Anche per questo Armando è cresciuto competitivo. Il sentirsi sotto pressione non è un problema, ma una condizione che gli permette di rendere al massimo. È un concetto che ripete spesso. In ogni intervista. Dopo ogni partita. Il tecnico dell’Albania Sylvinho nutre una stima sconfinata per l’attaccante. Per tutto il periodo dell’infortunio non ha fatto altro che chiamarlo. Una volta è andato a trovare Broja a Londra quando ancora camminava con le stampelle. “Continuava a dirmi quanto desiderasse lavorare con me e quanto fossi importante per la sua idea di squadra – ha detto qualche giorno fa a The Athletic – In pratica mi ha messo un braccio intorno alle spalle quando ne avevo bisogno”. Per questo l’Europeo è uno snodo cruciale per Broja. Per riannodare i fili del presente con quelli del passato. Ma anche per pensare al futuro. “Voglio dimostrare al mondo, al mio Paese, alla mia famiglia, a me stesso, alle persone che hanno dubitato di me e a quelle che mi hanno sostenuto, che posso realizzare le mie aspettative e diventare il giocatore che so di poter essere”. Forse, però, lo dimostrerà lontano dal Chelsea. Anche perché nei giorni scorsi il Milan è volato a Londra per parlare del suo cartellino.

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