L’Europa è chiamata a scegliere chi la guiderà per i prossimi cinque anni. Cinque anni di fondamentale importanza che aggiungono ulteriori sfide a quelle già intraprese da un’Unione che ancora fa i conti con le conseguenze economiche della pandemia di coronavirus, che deve affrontare seriamente la lotta al cambiamento climatico e, oggi, si trova con due conflitti aperti, proteste di piazza diffuse e l’avanzata dell’ultranazionalismo.
QUANDO SI VOTA – I primi seggi ad aprire sono quelli dei Paesi Bassi, dove i cittadini hanno potuto votare nella giornata di giovedì. In realtà, in Estonia la possibilità di voto c’è già dal 3 giugno, dato che è l’unico Paese che permette il voto online. Ma nel Paese baltico il voto con scheda fisica potrà avvenire solo il 9 giugno, come la maggior parte degli altri Stati membri. Il 7 giugno urne aperte invece in Irlanda e in Repubblica Ceca, dove si potrà accedere ai seggi anche sabato. Ed è proprio nel fine settimana che si concentrerà la maggior parte del voto europeo: l’8 giugno seggi aperti in Italia, dove si vota per due giorni, Slovacchia, Lettonia e Malta. Tutti gli altri Paesi andranno al voto il 9 giugno.
CHI PUO’ VOTARE – Grande tema anche di questo appuntamento elettorale è l’astensionismo, soprattutto tra i giovani. In alcuni Stati sarà possibile votare già a partire dai 16 anni. È il caso della Germania, del Belgio (dove il voto è obbligatorio), dell’Austria e di Malta. A 17 anni, invece, si potrà esprimere la propria preferenza in Grecia, altro Paese dove vige l’obbligo di recarsi alle urne. Per tutti gli altri Stati, l’età minima rimane 18 anni.
PER COSA SI VOTA – Anche se a cambiare sarà anche la composizione della prossima Commissione europea, i cittadini decideranno quali saranno i loro rappresentanti all’interno dell’Eurocamera. Saranno poi i partiti europei, in base ai risultati ottenuti, a contrattare sulle nomine di Palazzo Berlaymont. Da questo punto di vista, importante è il ruolo dei Paesi che esprimeranno il maggior numero di seggi e, di conseguenza, avranno un peso maggiore nelle trattative. Il Paese che in assoluto porterà più deputati a Bruxelles è la Germania, con 96 rappresentanti sui 720 totali. Seguono la Germania (81), l’Italia (76), Spagna (61), Polonia (53), Romania (33), Paesi Bassi (31), Belgio (22), Grecia, Repubblica Ceca, Svezia, Portogallo e Ungheria (21), Austria (20), Bulgaria (17), Danimarca, Finlandia e Slovacchia (15), Irlanda (14), Croazia (12), Lituania (11), Slovenia e Lettonia (9), Estonia (7), Cipro, Lussemburgo e Malta (6).
LE SFIDE PER I PROSSIMI 5 ANNI – La prossima legislatura sarà una delle più complesse e difficili da affrontare. Non solo per l’avanzata dell’ultradestra che preoccupa i partiti tradizionali e rischia di creare una spaccatura evidente all’interno del Parlamento Ue, ma perché questa divisione arriva in un momento storico in cui l’Unione è chiamata a prendere decisioni importanti che non possono essere più rimandate. Innanzitutto, quelle legate alla transizione ecologica, avviata con grande entusiasmo iniziale da Ursula von der Leyen e poi sconfessata dagli stessi partiti che l’hanno voluta. Poi ci sarà da gestire l’adesione europea dei Balcani occidentali, con i primi Paesi che dovrebbero, secondo i piani, entrare nell’orbita di Bruxelles a partire dal 2025. Un processo complicato dalla decisione last minute della Commissione di dare parere favorevole anche riguardo a Moldova e Ucraina. A questi dossier si sono aggiunti poi due conflitti che dovranno essere risolti. Soprattutto quello ucraino, alle porte dell’Unione, dovrà avere un epilogo che non faccia perdere la faccia ai governi dopo due anni e mezzo di opposizione dura a un processo di pace con Vladimir Putin.
VISTA ITALIA – Guardando all’Italia, il voto è il primo vero banco di prova per l’esecutivo Meloni. Ma non solo: sotto osservazione ci sarà anche l’operato della segretaria del Pd, Elly Schlein. Se la leader Dem dovesse assottigliare sensibilmente la forbice che separa il suo partito da Fratelli d’Italia, questo le darebbe la forza di imporre con maggior vigore la propria linea all’interno della famiglia del Partito Democratico. Testa a testa anche a destra: mentre Meloni rimane leader indiscussa della maggioranza, Forza Italia continua a sperare nel sorpasso nei confronti della Lega di Matteo Salvini. Se questa ipotesi si concretizzasse, nonostante la campagna elettorale dai toni esasperati impostata dal Carroccio, la leadership del ministro delle Infrastrutture rischierebbe di venire meno. Interessante la battaglia anche al centro per verificare chi, fra Renzi e Calenda, è il leader più rappresentativo.