Come se fosse oggi, ma era 45 anni or sono, quasi mezzo secolo: il giornale per cui lavoravo allora, la Gazzetta del Popolo di Torino, che oggi non esiste più, mi mandò apposta a Bruxelles perché – era pensiero diffuso – con le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo la Cee, la Comunità economica europea, sarebbe diventata diversa, più importante, più vicina ai cittadini. E bisognava esserci, avere una persona per seguirla.
E così, nei primi giorni di quel giugno 1979 – si votava tra il 7 e il 9, da un giovedì a una domenica, proprio come adesso -, la mia Fiat 127 verdolino chiaro arrancava da Torino a Bruxelles passando per Strasburgo. E, dopo Lussemburgo, un rovescio di pioggia fragoroso segnalò l’ingresso in Belgio e l’abbandono delle stagioni mediterranee.
L’emozione era grande: mia, di esordiente da corrispondente all’estero; e della gente d’Europa, che andò alle urne quasi in massa – 62% il tasso di affluenza, ma c’era la Gran Bretagna che abbassava drasticamente la media – per eleggere 410 europarlamentari. I socialisti (112) batterono i popolari (108). I conservatori, che erano soprattutto i britannici – a maggio, Margaret Thatcher aveva vinto le sue prime elezioni e fece razzia di seggi anche in Europa -, erano terzi (63), davanti ai comunisti (44), dove c’erano gli italiani di Berlinguer e i francesi di Marchais. Le destre sovraniste c’erano già, ma stavano a 22, dietro ai 40 liberali.
Con quel voto, l’integrazione europea non cambiò subito marcia, disilludendo i cittadini, anche perché la prima legislatura del Parlamento eletto venne assorbita quasi interamente dall’esplosione del ‘problema britannico’: la signora Thatcher voleva indietro i suoi soldi, come soleva dire poco elegantemente, “I want my money back”, avendo scoperto che, negli accordi di adesione, francesi e tedeschi avevano un po’ gabbato i suoi compassati predecessori. Solo a fine legislatura, soddisfatta la ‘Iron Lady’, la Cee si sbloccò e l’Assemblea di Strasburgo approvò il progetto di trattato sull’Unione europea voluto da Altiero Spinelli e dal suo club del Coccodrillo.
Ma 45 anni dopo di cose ne sono cambiate tante: la Comunità economica europea è divenuta l’Unione europea; i Nove di allora sono saliti a 27; c’è una moneta unica e il mercato unico è stato completato; le libertà di circolazione di persone e capitali si sono sommate a quelle delle merci; competenze dell’Ue e poteri del Parlamento si sono ampliati. Certo, ci sono anche state battute d’arresto, come il fallimento del progetto di Costituzione europea e la Brexit; e l’Ue è purtroppo rimasta un gigante economico – un Pil confrontabile con quelli di Usa e Cina – con i piedi politici d’argilla, perché mancano una politica estera e di difesa comune.
Elezioni europee: il voto l’occasione per un colpo di reni
Ora c’è l’occasione di dare un colpo di reni: da giovedì, 373 milioni di cittadini europei stanno votando per rinnovare il Parlamento europeo, 720 membri. Per 22 milioni di loro è la prima volta alle urne. L’Italia, dopo Germania (96) e Francia (81), è il Paese con più eurodeputati: 76. Si vota fino a domenica, con modalità, orari e leggi diversi Paese per Paese – in Olanda i seggi sono già chiusi; l’Estonia è l’unico dei 27 ad avere previsto il voto elettronico. Ma c’è chi ha votato prima, profittando dov’è possibile del voto per posta – 14 i Paesi che lo consentono – o del voto anticipato (solo in Finlandia e in Estonia). Ovunque, gli scrutini cominceranno alle 23.00 di domenica sera.
Si vota per l’Europa, ma non solo: in Belgio e Bulgaria ci sono le politiche; in Germania e Italia, regionali e amministrative; ovunque, le europee sono anche un grande sondaggio politico nazionale.
La campagna è stata segnata da tensioni e violenze. Gli episodi più gravi in Slovacchia – il premier Robert Fico è stato gravemente ferito – e in Germania, con aggressioni e scontri. Il premier polacco Donald Tusk ha ricevuto minacce di morte. Altrove si segnalano intemperanze e polarizzazioni.
Una delle sfide che segna anche queste ore di urne già aperte è la disinformazione, spesso di matrice euroscettica o russa, con tentativi di indirizzare il voto verso quei movimenti e quei candidati che Mosca percepisce come amici o meno ostili. Gli attacchi degli hooligans cibernetici hanno persino provocato una sospensione dell’account Facebook della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che era divenuto un diffusore di messaggi fake.
Demograficamente, le elezioni europee sono l’esercizio democratico più grande al mondo, dietro quello indiano, appena conclusosi, e davanti a quello statunitense, in calendario il 5 novembre. Questi tre appuntamenti mobilitano da soli quasi due miliardi e mezzo di persone, oltre un terzo della popolazione mondiale.
Elezioni europee: ipotesi sugli assetti del nuovo Parlamento
La posta in palio non è solo il futuro assetto del Parlamento europeo, ma il quadro complessivo delle Istituzioni europee, che saranno completamente rinnovate entro l’autunno, tenendo conto anche dei risultati elettorali. Nel Parlamento, i due maggiori gruppi attuali, quelli del Partito popolare europeo (Ppe) e del Partito socialista europeo (Pse), dovrebbero mantenere le posizioni, con un leggero incremento per i popolari e un leggero calo per i socialisti – la loro somma non farà però maggioranza, come è già oggi.
Altri due gruppi fortemente europeisti, i liberali di Renew e i Verdi, dovrebbero uscire indeboliti dalla consultazione elettorale e Renew potrebbe perdere il terzo posto, a vantaggio probabilmente dei conservatori riformisti, dati in crescita, come il gruppo Identità e Democrazia alla loro destra, che potrebbero diventare la terza e quarta forza dell’Assemblea comunitaria. I riferimenti italiani sono Forza Italia per il Ppe, il Pd per il Pse, FdI per i conservatori, la Lega per ID. Le varie sigle centriste confluiscono nei liberali.
I pronostici sono scritti sulla sabbia dei sondaggi e le sorprese non sono affatto escluse: in Olanda, ad esempio, gli exit poll danno, a sorpresa, socialisti e verdi davanti all’ultradestra xenofoba uscita vincitrice dalle politiche. Non è escluso che la geografia dei gruppi subisca scossoni, con fenomeni di osmosi e/o ridefinizione di sigle e composizioni.
La maggioranza politica che gestirà la prossima legislatura è incerta: l’attuale coalizione ‘europeista’ (Ppe, Pse, liberali, Verdi) dovrebbe conservare, dopo il voto, la maggioranza; ma c’è chi progetta aggregazioni di centrodestra, che potrebbero, però, incontrare un ostacolo in Identità e Democrazia, ‘ostracizzata’ dagli ‘europeisti’ per le sue componenti scettiche e xenofobe.
Ulteriore elemento d’incognita, almeno nella prima fase, il prevedibile gran numero dei non iscritti, eurodeputati eletti in formazioni politiche che non si riconosco nei gruppi esistenti. Gli eurodeputati del M5S erano, nella passata legislatura, fra i non iscritti. Eunews prevede una “tettonica a zolle” dei gruppi, specie alle estreme, con sigle neonazi e filorusse da una parte e sinistre rossobrune dall’altra.
Elezioni europee: il peso sul rinnovo delle Istituzioni europee
I rapporti di forza politica determinati dalle elezioni europee peseranno, senza essere vincolanti, nella fase di rinnovo delle Istituzioni europee: le nomine dei presidenti della Commissione europea – indicato dal Consiglio europeo, ma con l’investitura del Parlamento – e del Consiglio europeo – deciso dal Consiglio europeo; la scelta del ‘capo della diplomazia europea’ e di tutti i commissari. Diversi partiti politici europei hanno espresso i loro candidati alla presidenza della Commisisone: fra gli altri, il Ppe ripropone Ursula von der Leyen (UvdL), tedesca, e il Pse punta su Nicolas Schmidt, lussemburghese, ora commissario europeo agli affari sociali.
UvdL era considerata la grande favorita fino a qualche settimana or sono, ma le sue ‘derapate’ sull’ambiente, l’agricoltura e l’emigrazione e il suo corteggiamento insistito dei conservatori, specie di Giorgia Meloni, ha irritato molti leader e anche molti esponenti del suo partito. I media con sede a Bruxelles, come Politico.eu, Eunews, Euractiv.eu, registrano “una rivolta socialista” contro i flirt di von der Leyen con la destra. Ad avvertire che ciò potrebbe ‘silurare’ le speranze di conferma dell’esponente della Cdu, c’è, in prima fila, il cancelliere socialdemocratico tedesco Olaf Scholz, che starebbe già lavorando a un piano B, cioè a chi scegliere come commissario se UvdL cadesse. E, dentro il Ppe, Manfred Weber, tedesco anch’egli, capogruppo a Strasburgo, sconfessa alcune scelte della Commissione in materia ambientale.
Un altro nemico di UvdL II è il presidente uscente del Consiglio europeo Charles Michel, liberale, alla ricerca a sua volta di una – difficile – conferma. E appare fuori misura l’analisi di Euractiv.it secondo cui, dopo il voto, Meloni ‘darà le carte’ nel Consiglio europeo: la delegazione di FdI potrebbe effettivamente essere la più numerosa nell’Assemblea di Strasburgo di un singolo partito, ma la premier italiana può contare solo su due o al massimo tre capi del governo politicamente vicini (e non dei Paesi più influenti: Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia).
Il premier ungherese Viktor Orban è poi interlocutore poco affidabile: intervistato da Le Point, spinge per un campo unico Meloni/Le Pen – “Il futuro sovranista nelle mani di due donne” all’interno “di un gruppo unico o di una coalizione”, convinto che “la forza attrattiva della loro cooperazione sarà molto forte”, “sufficiente a rimodellare la configurazione della destra europea”. Ma, intanto, non è chiaro in che gruppo andranno i suoi eurodeputati.
Elezioni europee: l’impatto sulle politiche dell’Unione
Euronews prevede che “i successi dell’estrema destra potrebbero modificare l’atteggiamento dell’Ue su temi globali”, dal clima all’immigrazione, dalla pace alla sicurezza. L’asse franco-tedesco appare indebolito, con leader che sono ‘anatre zoppe’ nei loro Paesi e non appaiono in grado d’indirizzare, come avvenuto in passato, le scelte del Consiglio europeo. Macron, più di Scholz, segnala pericoli con dichiarazioni che sono lanciarazzi: “l’Europa è mortale”, se non si dota di maggiori poteri e maggiore sovranità; e se non evolve verso un’Unione della Difesa.
La campagna elettorale, come sempre condotta più a livello nazionale che europeo, s’è fatta sui temi della crescita e dell’occupazione, della solidarietà e della sicurezza, dell’ambiente e dell’immigrazione, delle necessarie riforme istituzionali per rendere l’Ue più efficiente e dell’allargamento ai Balcani occidentali e, in prospettiva, a Ucraina, Moldavia e, forse, Georgia. Ma il contesto internazionale, dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia al conflitto tra Israele e Hamas, ha avuto grosso peso, rilanciando, tra l’altro, l’obiettivo dell’Unione della Difesa.
Ma che sia un tema non ancora maturo lo dimostra il fatto che il nuovo posto di commissario alla difesa, di cui parla UvdL, non trova per il momento aspiranti qualificati: “L’incarico prestigioso che nessuno vuole”, scrive Politico.eu. “I grandi nomi preferiscono posti più concreti, perché i poteri militari dei 27 sono molto labili”. Un conto è l’industria della difesa, per cui c’è un commissario all’industria; un conto è la politica della difesa, che presuppone una politica estera e di sicurezza comune, che non c’è e, fin quando ci sarà il vincolo dell’unanimità, non ci sarà.