Ana Pisonero, la portavoce del commissario per l’Allargamento e la politica di vicinato, l’ungherese Olivér Várhelyi, ha confermato che l’esecutivo comunitario ritiene che l’Ucraina e la Moldavia abbiano tutti i requisiti perché si aprano i negoziati per la loro adesione all’Unione Europea. I requisiti “sono stati raggiunti – ha detto- e ora spetta agli Stati portare avanti la discussione sui prossimi passi”. L’Ucraina aveva chiesto di entrare nell’Unione Europea nelle settimane immediatamente successive all’aggressione da parte della Russia e le era stato concesso lo status di candidato nel giro di pochi mesi, uno dei processi più brevi nella storia dell’Ue. Francesco Cherubini, professore associato di Diritto dell’Unione Europea presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss “Guido Carli” di Roma, commenta queste dichiarazioni in un’intervista al fattoquotidiano.it.
Professore, tra i criteri da rispettare perché un paese possa entrare a far parte dell’Unione ci sono i valori democratici su cui si basa l’Ue. Il paese deve avere delle istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Secondo lei ad oggi l’Ucraina rispetta questi requisiti?
“Al momento alcuni stati membri sembrano sostenere che l’Ucraina non abbia questi requisiti. Lo sapremo soltanto quando i negoziati saranno sostanzialmente conclusi, a quel punto la procedura dovrebbe chiudersi con un parere finale della Commissione in cui si dice che lo Stato in questione può diventare membro. E questo non lo ha ancora detto. Stessa posizione deve prendere il Consiglio all’unanimità. Al momento questo non è stato affermato dal Consiglio e mi sembra che alcuni stati membri siano anche piuttosto scettici al riguardo. Non solo. Il Trattato di adesione entra in vigore soltanto con la ratifica di tutti gli Stati membri. Se non entra in vigore, lo Stato non entra a far parte dell’Unione. Inoltre, il processo di ratifica non coinvolge soltanto i governi che sono quelli che rappresentano gli Stati in Consiglio, ma coinvolge pure i parlamenti nazionali, e non è detto che se un governo esprime il proprio consenso all’interno del Consiglio, poi il Parlamento farà la stessa cosa. Il processo è lungo, prevede una serie di step che coinvolgono tanti attori e quello che oggi emerge da un atto non ufficiale della Commissione è che si possono aprire i negoziati. Quindi stiamo parlando al momento del nulla, o quasi. Quello che è accaduto oggi, dal punto di vista strettamente giuridico non ha praticamente alcuna conseguenza.”
Come si possono avviare le procedure di adesione di uno Stato in guerra, senza confini definiti e con la democrazia sospesa?
“Questo non è necessariamente un problema. Non lo è stato neanche in passato perchè vi sono stati processi di adesione che hanno coinvolto stati con situazioni conflittuali abbastanza palesi, come nel caso di Cipro. I negoziati di adesione in queste circostanze ovviamente incontrano una serie di difficoltà ulteriori, ma fra i requisiti per entrare nell’Unione Europea non figura quello per cui uno stato non deve essere in guerra. Politicamente, invece, la questione è un altro paio di maniche”.
La Nato ha sempre detto che l’Ucraina non potrà entrare a far parte prima della fine del conflitto. Perché l’Unione Europea, che ha accordi di difesa simili tra Stati membri, si prende questo rischio con il conflitto in corso?
“Esistono delle clausole di solidarietà, anche da un punto di vista militare, che obbligherebbero o quasi gli Stati membri dell’Unione Europea ad intervenire a favore di uno Stato parte di un conflitto. Questo ovviamente è uno dei problemi che potrebbero sorgere nel caso in cui uno stato in conflitto entra a far parte dell’Unione Europea. In sostanza, l’entrata nell’Unione di uno Paese che è in guerra aumenterebbe gli obblighi di solidarietà degli altri stati membri nei confronti di questo Paese, il che potrebbe essere la premessa per un allargamento del conflitto”.
Quella della Commissione sembra un mossa volta ad evitare il rischio che la prossima Commissione rallenti il dossier…
“Probabilmente è una mossa per sondare un po’ le reazioni in vista della possibile apertura dei negoziati. Questa dichiarazione viene fatta alla vigilia delle elezioni e non so con quanto senno, perchè queste prese di posizione semi ufficiali sono sempre un po’ scivolose e non se ne possono preventivare le conseguenze. Una conseguenza non sarà di certo quella di vincolare una prossima Commissione la quale sarà vincolata da una sorta di rapporto di fiducia con il nuovo Parlamento europeo, e quindi non avrà alcun obbligo sia dal punto di vista giuridico che da quello politico di proseguire anche nel processo di allargamento sulla strada indicata dalla precedente Commissione”.