“Mi sono chiesto perché i rumeni sono venuti ai Mondiali con le bandiere stracciate in mezzo. Perché gli argentini picchiano gli inglesi in Messico. Perché i lituani a Barcellona vanno tanto orgogliosi del completino psichedelico. Perché gli Irriducibili espongono uno striscione per la Tigre e non per la Lazio. Perché a Los Angeles il pugilato non ha assegnato nemmeno una medaglia a Cuba. Perché non c’è un solo filmato in cui Sara Simeoni canti l’inno a Mosca. Perché tanta meraviglia nei veronesi a Bucarest. Perché non si sentono i rumori della partita della Juve a Danzica. Un sacco di perché.”
Volevo solo giocare a ping pong, di Ciro Romano (Caffeorchidea), è un riuscito mosaico di racconti che miscela insieme musica, cinema, cultura, sport e guerra mostrando un unitario disegno legato alle mille diramazioni che un periodo storico (identificabile con Guerra Fredda) può generare. C’è un po’ di Patrick Deville e Paco Inclán nelle pagine di questa ottima opera prima, anche se la scrittura di Romano manca un po’ di esperienza sul campo, rispetto a Deville o Inclán, però il lavoro di documentazione e ricerca storiografica è notevole e fa crescere l’importanza del libro.
“Il 4 novembre 1956 il rumore dei cingolati fa da preludio alla rappresaglia cruenta dell’Armata Rossa: la normalizzazione dell’Ungheria è un martirio. Quasi tutti impegnati in Spagna con la Honved, i calciatori di interesse nazionale rifiutano di tornare nella patria sporca di sangue dei fratelli: la squadra d’oro, che la Rivoluzione ha ispirato, con la Rivoluzione muore.”
Dall’epopea di Ferenc Puskás e dell’Aranycsapat ungherese alla nazionale cecoslovacca di hockey su ghiaccio del 1968, dal rock and roll delle origini a Goran Bregovic, da palestre di pugili castristi agli stadi del Southland londinese, dalla Guerra della Falkland a quelle deflagrate del Medioriente. E poi contestazione giovanile, spie, atleti altruisti e politici spietati. Golpe, rivoluzioni, campi di calcio e palazzetti presidiati da militari o dove vengono coperti i simboli sulle bandiere. Una cronaca appassionata, documentata, credibile.
Una flanerì letteraria intelligente, seria e con un pregevole ritmo narrativo, per illuminarci su quello che fu il mondo quando era semplicemente diviso in due blocchi. E per fornire, agli sparuti deadheads italiani, aneddoti sui loro eroi.
“Mickey Hart è il batterista di un gruppo che gli Stati Uniti d’America non hanno esitato a definire quali apostoli dell’orgia, dell’orgasmo collettivo, degli happening psichedelici, la cui unica religione riconosciuta è l’LSD.”
Insomma, ce n’è per tutti i gusti.