Alcuni membri delle forze speciali sono entrati nel campo di Nuseirat spacciandosi per sfollati di Rafah. Appartenevano a unità israeliane che operano nelle aree palestinesi mescolandosi ai locali e parlando fluentemente arabo. Così è cominciato il raid che ha portato alla liberazione dei quattro ostaggi israeliani da Gaza: Noa Argamani, 26 anni, Andrey Kozlov, 27, Almog Meir Jan, 22, e Shlomi Ziv, 41. Tuttavia, il conflitto a fuoco che ne è seguito ha causato la morte dell’ufficiale di polizia israeliano Arnon Zamora e di almeno 210 palestinesi, ma anche di altri tre ostaggi, stando a quanto riferisce Hamas. La ricostruzione dell’operazione è ancora parziale e confusa. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu l’ha definita “eroica“, mentre il presidente palestinese Mahmoud Abbas l’ha condannata come un “massacro sanguinoso” e ha richiesto una sessione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Camuffati a bordo di un’auto bianca
Secondo fonti locali, l’unità speciale israeliana si è infiltrata nel campo di Nuseirat travestita da sfollati di Rafah, utilizzando un’auto bianca con materassi sul tetto. Tra le forze c’erano anche donne, vestite con abiti locali. Le unità sono entrate nel campo da un’area vicina al molo degli aiuti americani e al corridoio Nezarim, il passaggio est-ovest che taglia in due Gaza a nord del campo, che è controllato dall’Idf e viene utilizzato come punto di partenza per raid nella parte settentrionale e centrale della Striscia. La gente del posto, secondo il resoconto del network arabo Asharq, ha chiesto ai nuovi arrivati da dove venissero e questi ultimi hanno risposto che stavano scappando dall’operazione dell’Idf a Rafah e stavano andando nell’area intorno al mercato di Nuseirat.

Gli ostaggi “a casa di un giornalista di al Jazeera”
Un primo gruppo ha puntato verso l’edificio dove era detenuta Noa Argamani. I tre ostaggi maschi (Andrey Kozlov, Shlomi Ziv e Almog Meir Jan) erano detenuti in un altro edificio a 200 metri di distanza. L’unità si è poi divisa in due gruppi, ciascuno diretto verso uno dei due edifici, in preparazione dell’operazione. Testimoni oculari raccontano ad Asharq che oltre alle truppe travestite, altre forze speciali si sono introdotte nel campo di Nuseirat all’interno di un camion dei soccorsi. L’Idf però ha negato di aver utilizzato trasporti umanitari per l’operazione. Dopo il raid, si sono diffuse voci non verificate secondo cui Noa Argamani era stata tenuta in ostaggio nella casa del giornalista Abdallah Aljamal, ucciso durante il raid. Al contrario, secondo quanto riferito in serata dall’Idf, nella casa del giornalista palestinese si trovavano i tre ostaggi maschi. L’esercito israeliano ha riferito che il reporter era un operativo di Hamas e teneva in ostaggio, insieme alla sua famiglia, Almog Meir, Andrey Kozlov e Shlomi Ziv nella sua casa a Nuseirat. Abdallah era il portavoce del ministero del lavoro a Gaza gestito da Hamas e in passato ha collaborato con diversi organi di stampa. Al Jazeera – chiamata in causa da Tel Aviv – ha negato categoricamente qualsiasi legame con il giornalista: “Quest’uomo non è di Al-Jazeera, e non ha lavorato affatto per Al-Jazeera, e non risulta che lavori per Al-Jazeera né adesso né in passato. Non lo conosciamo e tutte le voci che sono state diffuse sono prive di contenuto e non sono affatto vere“.

Lo scontro a fuoco e la liberazione in elicottero
Il raid è stato preparato per settimane ed è stato svolto in pieno giorno per sfruttare l’effetto sorpresa. Le forze speciali israeliane, che secondo la Cnn sono state supportate logisticamente e a livello di intelligence da una squadra statunitense, hanno condotto l’operazione in due punti simultaneamente. Durante il recupero, uno dei veicoli con i tre uomini si è bloccato: per questo motivo gli uomini dell’esercito israeliano avrebbero deciso di cominciare a sparare. Lo scontro a fuoco è pesantissimo. Respinti i miliziani di Hamas, i quattro ostaggi sono stati portati via in elicottero fino a un ospedale di Tel Aviv. Nel frattempo, altri raid sono stati eseguiti al mercato di Nuseirat e alla moschea di al-Awda. Tali da provocare – riporta Medici Senza Frontiere – 50 ricoveri di feriti gravi in un’ora nell’ospedale Nasser.

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