Ne è passata d’acqua sotto i ponti da quei lontanissimi mal di pancia millantati ne La gallinella saggia, in cui un esordiente Paperino si rifiutava di aiutare nella semina la chioccia protagonista dell’omonimo cortometraggio animato, per poi finire a becco asciutto al momento del raccolto.
Dopo 90 anni di avventure, infatti, Paperino è sì rimasto lo stesso scansafatiche, egoista e bugiardo delle origini, ma ha anche saputo sviluppare una lunga serie di caratteristiche che gli hanno permesso, una pagina alla volta, di soppiantare il pezzo grosso, o Topolino, non solo come protagonista del giornale che di lui porta il nome, ma soprattutto come vero eroe nel cuore dei lettori di ogni generazione.
Vuoi per gli infiniti punti di contatto con la fallace natura umana, vuoi per le conseguenti innumerevoli lezioni inflitte da un destino capace di rendere l’Odissea di Ulisse una scampagnata, per quasi un secolo Paperino ha saputo interpretare ben più di ogni altro personaggio disneyano la parabola umana della caduta e del conseguente rialzarsi in piedi. Una lezione eterna che, molto prima di Homer Simpson, è stata specchio dell’evoluzione di linguaggi, abitudini e costumi in ogni decennio e latitudine, dagli anni Venti alle Guerre Mondiali, attraversando dall’alba al tramonto ogni fase del sogno americano, fino ad arrivare al nuovo millennio per metterci radici e fiorire nuovamente.
Dopo la fase embrionale delle Silly Symphony, quei primi cartoni in cui si vedevano poppanti alle prese con coltellacci, lupi assassini e nefandezze oggi politicamente scorrette, Walt Disney affidò all’italo americano Al Taliaferro la decennale responsabilità di un maquillage totale del personaggio che, perduto l’aspetto tiroideo, si avvicina a quello più paperesco di oggi, rafforzato in anni di marachelle e scatti d’ira sulle strisce dei giornali.
Qui lentamente inizia a germogliare il Paperino contemporaneo che, pur incapsulato nello spazio minimo delle gag a strisce, prive dei vasti spazi narrativi necessari per evolvere, riesce comunque a fare dei passi avanti, senza mai liberarsi della piacevole zavorra di quelle gag tipiche del cinema delle slapstick e di Chaplin, che celano la capacità di approfondire a piccole dosi un racconto emotivo.
Ecco dunque che alla rabbia cieca dell’esordio in cui Paperino annienta una zanzara con una cannonata si fa strada l’aspetto responsabile che sviluppa verso i nipotini, per i quali muta da bersaglio e avversario ad affettuosa guida protettrice. Successivamente l’intervento del gigantesco Barks prima e di Don Rosa poi – che trasformano i paperi in una famiglia incorniciata in una mitologia fatta di infiniti dove e quando, cui si affianca il contributo di moltissime altre firme con alcuni italici pesi massimi a spiccare nell’Olimpo autoriale – vede Paperino smussare ulteriormente alcuni dei suoi spigolosi difetti, portando alla ribalta doti che nel tempo lo rendono il più empatico tra tutti i personaggi del multiverso disneyano.
Vittima dei capricci della vanitosa Paperina, sbeffeggiato dal fortunatissimo cugino Gastone, spesso sabotato dalle stravaganze di Paperoga, per lo più irriso dai nipotini Qui, Quo e Qua e perennemente sfruttato dall’avido Paperone, Donald Fauntleroy Duck si è trovato a vivere migliaia di avventure di ogni genere, nelle quali è riuscito a espandere un temperamento titanico inusitato, addolcito e reso quasi pop da quell’ironia di fondo che fa da propellente inesauribile al motore della sua simpatia.
Lo spartiacque definitivo avviene forse con la scelta di affidargli una seconda identità, quella di Paperinik, con cui prendersi alcune rivincite altrimenti impossibili nei consueti panni alla marinaretta. Grazie alla maschera dell’eroe è infatti messo in condizione di vendicarsi di Paperone, Gastone e compagnia bella, senza però alterare gli equilibri che contraddistinguono ogni suo rapporto personale.
Più recentemente Paperinik diventa PK, il più marvelliano degli eroi disneyani, in cui a battersi contro alieni privi di scrupoli e forse più degni avversari di un robottone di Go Nagai è sempre quel papero per niente infallibile ma incrollabile, cui tocca la responsabilità non banale di salvare l’intero pianeta.
Nelle migliaia di pagine di questo quasi secolo di avventure, Paperino ha visitato l’inferno dantesco, vestito i panni di Cyrano, Montecristo, Sandokan, Renzo Tramaglino, D’Artagnan, scovato l’Eldorado, viaggiato nel tempo e nello spazio, vissuto l’esperienza del dominio nazista come ne La svastica sul Sole, affrontato spie internazionali, rapinatori, vicini di casa molesti, alieni d’ogni genere, suonato al piano in duo con Duffy Duck, lavorato in Marina e si potrebbe andare avanti ancora e ancora enumerando altre avventure.
Ma in qualunque punto si apra questo incommensurabile album dei ricordi, sarà sempre possibile rintracciare quell’ironia leggera e irresistibile che da sempre ce lo fa stare più che simpatico. Perché in ognuno di noi c’è un pezzetto di Paperino. Forse non quello che vorremmo o di cui magari a volte faremmo volentieri a meno. Ma c’è. Sberequek!