Narendra Modi si è formalmente insediato come Primo Ministro dell’India durante una sfarzosa cerimonia svoltasi nel palazzo presidenziale di Nuova Delhi. Si tratta del terzo mandato consecutivo per l’esponente del Bharatiya Janata Party (BJP), movimento conservatore e nazionalista che ha raggiunto il primo posto alle recenti elezioni parlamentari svoltesi nella nazione asiatica. Gli exit poll avevano previsto che il BJP, che domina lo scenario politico da un decennio, avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, ma le cose sono andate diversamente. Il partito nazionalista ha perso seggi rispetto alle consultazioni precedenti e ha dovuto ricorrere all’aiuto dei partiti minori della sua coalizione, su tutti il Telugu Desam Party (TDP) ed il Janata Dal (United) JD(U), per poter formare l’esecutivo.

Si tratta di un dato che non deve essere sottovalutato perché Modi, abituato a governare in solitaria, dovrà mostrarsi incline a concessioni e compromessi per non inimicarsi gli alleati. Questi ultimi sono in buona parte movimenti regionalisti, locali oppure conservatori che fanno parte dell’Alleanza Nazionale Democratica. Al Jazeera spiega che Rick Rossow, a capo dello US-India Policy Studies at the Center for Strategic and International Studies a Washington, ha chiarito alla Reuters che “ i principali partner di coalizione del BJP sono politicamente imprevedibili, a volte appoggiano il BJP ed altre gli si oppongono” e che “ i partiti più grandi che faranno parte della sua coalizione sono neutrali sui grandi temi nazionali e non dovrebbero porre un freno alle riforme economiche ed ai legami di sicurezza con Stati Uniti, Giappone e gli altri partner importanti”.

Gli analisti, secondo quanto riportato dal Guardian, ritengono che la dipendenza da partner di coalizione moderati potrebbe porre un freno ad alcune delle tendenze più autoritarie ed estreme emerse nel corso dei primi due mandati di Modi. Le politiche filo-Hindu, che raccolgono il favore della maggioranza del Paese, il linguaggio discriminatorio usato nei confronti della minoranza musulmana, formata da 200 milioni di persone, e l’approccio aggressivo nei confronti del Kashmir, privato della sua autonomia e soggetto ad una forte repressione, potrebbero essere tra queste. Modi si è impegnato, subito dopo il voto, a dare seguito alla sua agenda citando, come riportato da The Diplomat, “l’immensa fede” degli elettori nel suo governo e promettendo “una nuova fase di decisioni importanti” per l’India. Tra le priorità del premier c’è la volontà di trasformare l’India nella terza economia mondiale entro il 2027, nell’implementare riforme economiche e favorire l’occupazione.

I primi due esecutivi di Modi sono stati caratterizzati da luci ed ombre. Il premier è stato apprezzato per aver garantito una robusta crescita economica al Paese e per aver rafforzato il ruolo dell’India sullo scenario internazionale ma è stato criticato, tra le altre cose, per il cronico problema della disoccupazione. L’India ha registrato un tasso di crescita del 6.5 per cento nell’anno fiscale in corso ma non è stato creato un numero sufficiente di nuovi posti di lavoro per i più giovani. Il Centre for Monitoring Indian Economy (CMIE), un think tank privato, ha evidenziato come il tasso di disoccupazione nazionale abbia raggiunto l’8 per cento nel maggio 2024 mentre quello giovanile abbia toccato quota 45.4 per cento nel biennio 2022-2023.

Non mancano, poi, problemi per chi può contare su un impiego ma deve fare i conti con condizioni lavorative non adeguate né sicure. Un punto su cui maggioranza e opposizione concordano riguarda, però, la politica estera del Paese. Modi ha rafforzato il ruolo dell’India sullo scenario internazionale contrastando, non sempre con successo, le mosse espansionistiche della Cina in Asia Meridionale. Pechino può contare sul supporto del Pakistan, storico rivale di Nuova Delhi, mentre l’India ha buoni rapporti tanto con la Russia quanto con gli Stati Uniti. Durante il terzo mandato ci si aspetta che Modi cerchi di ottenere un seggio permanente per l’India al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e continui a rafforzare le alleanze internazionali del Paese. Lo sguardo è sempre rivolto verso Pechino, con cui sono presenti contenziosi territoriali nella regione Himalayana e che non è affatto intenzionata a concedere a Nuova Delhi l’agognato seggio permanente al Consiglio di Sicurezza.

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