“Mi sono sempre sentita una superstite”, racconta al Fattoquotidiano.it Rossella Bianchi, nata nel 1942 con il nome di Mario, mentre ripercorre l’intreccio tra la sua storia personale e quella del “travestitismo” genovese. “Lo chiamo volutamente così perché negli anni Sessanta non sapevo neanche dell’esistenza del termine transgender, sebbene già allora non mi sentissi né uomo né donna – spiega Rossella ripercorrendo i vicoli del ghetto dove ha iniziato a lavorare nel 1964 – quello che sapevo era che non avrei voluto vivere una vita fingendo di essere diversa da com’ero”. Una scelta di libertà pagata a caro prezzo: “Nessuno dava un lavoro regolare a una come me – racconta – così ero finita davvero a fare la fame e presi la decisione di unirmi ai travestiti che in quegli anni, a Genova, iniziavano a prostituirsi intorno a vico Untoria”.
Nella testimonianza di Rossella, che sulla sua storia negli ultimi anni ha scritto diversi libri, non c’è spazio per i rimpianti, ma emerge senza sconti la drammaticità di una vita spesso liquidata con sguardi morbosi, edulcorati o poetici: “Queste sono le foto che ci fece Lisetta Carmi a fine anni ’60 – Rossella mostra alcune copie delle foto pubblicate nel libro “I travestiti”, edito nel 1972 – a quei tempi avevamo ’solo’ il problema di fuggire alla polizia, poi arrivarono l’eroina e l’Aids: fu una decimazione”. La portavoce della storica associazione Princesa, ispirata e sostenuta da don Andrea Gallo, sfoglia l’album e racconta uno per uno i tristi epiloghi che accomunano le vite di molte sue amiche: “Quando qui eravamo ancora a decine, a condividere i bassi di un ghetto completamente diverso da quello desertificato e degradato che sarebbe venuto negli anni a seguire, Fabrizio De Andrè seppe fotografare la poesia che c’era nella nostra vita tra i caruggi più scuri, ma forse quello che non è passato da quei brani è quanta solitudine, sofferenza ed esclusione vivessimo, dietro una superficie di feste e trasgressioni”. Oggi è cambiato il mondo: “Sono cresciuta in un contesto dove quelli come me potevano finire in manicomio, poi costretta a scegliere la strada, arrivata fin qua solo grazie a molta fortuna – spiega Rossella – adesso per fortuna viviamo in una società molto più libera dove chi vive una situazione come la mia ha davanti a sé molte alternative e opportunità, che io ai miei tempi non ho avuto. Potrei serbare invidia per essere ‘nata troppo presto’, ma non ho nessun rimpianto, forse solo quello di non essermi mai apertamente dichiarata con i miei genitori. Ecco ai genitori di oggi consiglio di non perdere la preziosa occasione di accompagnare nelle loro scelte i propri figli, con quel rispetto e sostegno che tante volte è mancato ai miei tempi e ancora oggi in certe situazioni di ignoranza e chiusura”.
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