Moda e Stile

Alla Tanger Fashion Week “c’è più energia che a Parigi”: “Oggi la moda orientale fa sognare”. Ecco i designer emergenti da tenere d’occhio

Una piccola rivoluzione arriva anche qui: il racconto dalla Tanger Fashion Week, che si è svolta in Marocco dal 30 maggio al 1 giugno

di Januaria Piromallo
Alla Tanger Fashion Week “c’è più energia che a Parigi”: “Oggi la moda orientale fa sognare”. Ecco i designer emergenti da tenere d’occhio

È ufficiale: tutti vogliono una settimana della moda, anche con solo otto stilisti come sul Mar Rosso. La vuole Dubai, la vuole Ryad, la vuole Rabat. E non capisci il senso finché non ne vedi almeno una in quest’area mediterranea fuori dall’Europa e ti rendi conto che, come ha detto Carlo D’Amario, Ceo di Vivienne Westwood, che ha portato dieci pezzi della mitica stilista alla Tanger Fashion Week (30 maggio-1 giugno), “qui c’è più energia che a Parigi”. Un entusiasmo contagioso, tante idee. E, mentre l’Italia, per questione di costi, riduce l’artigianato, mentre le grandi firme si arrendono al poliestere e alla viscosa, a Tangeri, nel sontuoso Palais Moulay Hafid, un gioiello architettonico che fa un po’ Mille e una notte vanno in scena broccati preziosissimi, sete intessute con fili d’oro e incredibili ricami. Se vai in giro vedi tranquillamente gli uomini al telaio che ti sorridono e dicono, in italiano, “Tutto fatto a mano!”.

“Negli anni ‘70 e 80“, racconta Hind Joundar, francese di origini marocchine, avvocata, appassionata di scambi tra mondo arabo e orientale, che dal 2004 organizza mostre di pezzi antichi e sfilate, a Milano, a Parigi, a Marrakech e ora a Tangeri: “Saint Laurent e altri stilisti si sono ispirati alla moda orientale e l’hanno democratizzata. All’epoca si parlava di moda etnica o addirittura tribale, di quell’esotismo che ha sempre esercitato un grande fascino. Dall’imperatrice Josephine de Beauharnais, moglie di Napoleone, in poi. Ma oggi la moda orientale fa sognare, per le forme, i materiali, il suo richiamo ancestrale”.

Ma qualcosa, una piccola rivoluzione arriva anche qui. Da Hindi Couture, dello stilista franco-palestinese Hindi Mahdi, un bel tipo tenebroso, escono spose velate in tulle rosso con un ramoscello di ulivo in mano, mentre da Lamia Lakhassi sfila l’abito-mimosa (anche se l’8 marzo è abbondantemente passato) un modo per rappresentare anche nel mondo arabo l’orgoglio femminile. E Lamia El Ghazouani, divertente e a suo modo trasgressiva, stravolge il caftano accostando tessuti e colori diversi, un po’ Desigual, facendone quasi una tuta movimentata da stringhe e lacci che creano cappucci, orli asimmetrici e maniche (a lei stanno benissimo) . Ovviamente ci sono i cultori della tradizione, che nascondono le donne in strati di stoffa, mantelli e veli, ma il vento occidentale soffia forte e le stiliste più giovani, come Muna Bennakhlouf (il suo marchio è “Brand up”) e Mirna Jahshan propongono mini, stivali e scollature.

La stilista turkmena Gowher Gouvernet che insegna moda Parigi, è arrivata con il suo seguito di influencer (qualcuna ha affrontato 20 ore di viaggio per seguirla) Un po’ di Italia l’ha portata fin qui Veronica Pozzi, ex avvocato, che ha setacciato le botteghe artigianali per creare strepitosi tessuti, stampe con i pappagalli e abitini di broccato a trapezio portabilissimi con tanto di accessori (borse, scarpe). Sostiene Veronica, che il Marocco non è come ce lo immaginiamo, è una nazione in crescita, bellissima e vivibile, dove si respira un grande entusiasmo per la moda, come a Milano nel primo decennio del Prêt-à-Porter. E così, mentre il Marocco aggiorna i codici classici, il caftano colonizza l’estate. Piaceva a Grace di Monaco: in una spensierata immagine degli anni ’70 ne indossava uno, di Emilio Pucci, abbinato al turbante di spugna rosa. Piaceva a Liz Taylor: era candido e luccicante di gioielli quello visto sul set del film “La scogliera dei desideri (Boom!)”. Per Marta Marzotto è stato quasi una divisa dopo l’innamoramento fulminante nella Marrakech degli antichi riad.

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