Sei mesi di Javier Milei alla presidenza della Repubblica Argentina e già davvero molto da raccontare. Il libertario, resosi famoso per la campagna elettorale “motosega in mano”, non ha tradito le aspettative, per lo meno quelle di chi vedeva arrivare un vero e proprio tsunami dentro le stanze della Casa Rosada. In questi mesi infatti l’economista argentino non ci ha fatto mancare stravaganze, invettive e scontri politici (dentro e fuori dal paese sudamericano). È ancora da dimostrare invece la coerenza sul piano delle promesse elettorali, quando alla guida del suo partito antisistema “La Libertad Avanza” prometteva di dollarizzare il paese, di chiudere la Banca Centrale e di rimuovere i controlli sui capitali: niente di questo si ancora verificato. Però è pur vero che l’economia di uno Stato grande e articolato come l’Argentina non si può cambiare in 180 giorni.
E allora concentriamoci su quello che Milei ha fatto e non quello che non ha (ancora) realizzato. A livello economico ha rispettato il suo mantra del deficit zero, cioè ha cercato di non aumentare il debito pubblico, tagliando tutto quello che ha potuto e riducendo il costo dell’apparato statale del 35% rispetto al 2023. Se da un lato è riuscito in questo modo ad abbassare l’inflazione in modo considerevole, dall’altro si è però guadagnato a fine maggio la copertina del Time con l’appellativo di “presidente radicale”, aggettivo ratificato dalla polarizzazione nella quale si trova il paese, dove lo scontro sociale ha toccato nuovi picchi in concomitanza con le misure drastiche di Milei rispetto ai tagli al welfare.
Tagli che, nonostante il filtro del Congresso iniziato con il blocco del mega decreto presidenziale del 21 dicembre 2023, hanno riguardato la riduzione della metà di ministeri e delle segreterie e che hanno colpito (con il licenziamento) molti dipendenti pubblici con meno di un anno di anzianità: si parla in totale di almeno 25 mila funzionari pubblici licenziati e di altri 50 mila in pericolo. A questo si aggiunge la sospensione delle opere pubbliche (e dei pagamenti per le stesse) almeno durante un anno, la cancellazione parziale di sussidi per energia e trasporti, la sospensione degli investimenti per campagne pubblicitarie statali e il blocco quasi totale dei trasferimenti discrezionali di fondi dallo Stato nazionale alle province. Insomma la famosa motosega ha trovato piena manifestazione, senza se e senza ma, in un semestre dove per Javier Milei il focus è stato non spendere denaro.
Chi si oppone al presidente libertario e al suo piano di ristrutturazione nazionale non è però stato a guardare, e così in questo semestre non sono mancate marce nazionali di protesta e scioperi su larga scala. Per esempio sia il 24 marzo (l’importante ricorrenza per ricordare le vittime della dittatura del terrorismo di Stato) sia il 23 aprile abbiamo assistito a due grandi esercizi di protesta popolare in difesa di un modello di Stato che non lasci nessuno fuori e nessuno indietro. L’educazione pubblica (i cui rappresentanti stanno lottando per mantenerne la gratuità), i pensionati e in generale la classe popolare che viveva alla giornata sono i settori che più hanno visto peggiorare la loro situazione, mentre Milei ripeteva che i tagli avrebbero colpito solo “la Casta” e che in Argentina “no hay plata” (non c’è denaro). Nel frattempo il peso, la moneta nazionale definita “escremento” da Milei in campagna elettorale, ha ripreso forza rispetto al dollaro, le banche hanno ricominciato ad offrire mutui ipotecari a 20 e 30 anni (una rarità in Argentina) e il Fondo monetario internazionale (Fmi) applaude Milei condividendo stime di crescita per il paese latinoamericano nel 2025 pari al 5%.
A questa situazione dobbiamo aggiungere, come contesto, l’aumento dei casi di dengue durante l’estate australe, l’impossibilità delle classi sociali più vulnerabili di poter accedere al gas naturale (per il riscaldamento) ora che è arrivato l’inverno australe e l’ultimo scontro sociale dovuto alla mancata distribuzione di cibo alle mense dei poveri (in extremis Milei ha ordinato di distribuire solo il cibo in scadenza).
Questo è il Milei “in casa”; ma poi c’è un vero e proprio uragano Milei che non ha smesso di viaggiare all’estero dal giorno del suo insediamento (di questi 6 mesi di presidenza, uno lo ha passato fuori dall’Argentina). Solo negli Stati Uniti d’America ha già realizzato 4 visite, senza negare il suo appoggio per Donald Trump e sperando in una sua rielezione, facendosi fotografare (per poi pubblicare tutto sui suoi social dove si rappresenta come un leone) con le grandi menti tecnologiche made in Usa: Elon Musk, Mark Zuckerberg, Sam Altman e Sunder Pichay tra gli altri. Conferenze internazionali, viaggi ufficiali e anche scontri diplomatici (Spagna, Colombia, Messico per esempio) che lo hanno catapultato in modo prepotente nella scena mondiale. Non le ha mandate a dire a Gustavo Petro, presidente della Colombia, che è stato definito da Milei “terrorista assassino”, a Pedro Sanchéz (primo ministro spagnolo) ha dato del “codardo” chiamando corrotta sua moglie María Begoña Gómez Fernández, mentre ha definito ignorante il presidente messicano, Andrés Manuel Lopez Obrador. Con Lula invece ha deciso di non parlare proprio e lo definisce un comunista corrotto.
Insomma sei mesi di “fuoco” nei quali non sono mancati “coup de théâtre” come il concerto rock del 22 maggio al famoso Luna Park di Buenos Aires (sede abituale di grandi eventi artistici e sportivi) nel quale lo stesso Milei ha cantato Panic Show (del gruppo rock argentino La Renga) di fronte a migliaia di seguaci in delirio, che lo acclamavano mentre il presidente gridava: “Hola a todos, yo soy el león, rugió la bestia en medio de la avenida” (Buonasera a tutti, io sono il leone che ha ruggito in mezzo alla via). E questo è solo l’inizio…