Sono in viaggio per Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco, dove mercoledì 12 giugno assisterò alla nuova udienza del processo per l’assassinio del preesistente dell’Ordine degli avvocati, Tahir Elçi, vicenda alla quale ho dedicato in passato, circa otto anni e mezzo fa, un post su questo blog. Ma sulla Turchia tornerò più diffusamente in un prossimo post. In quello che ho appena citato sottolineavo la scarsa lungimiranza e la codardia dei governanti europei, in relazione ai loro rapporti col regime di Erdogan. Ma, otto anni e mezzo circa dopo giudizi del genere appaiono a ben diritto applicabili all’insieme delle politiche europee.
L’Europa non è più da tempo un soggetto internazionale autonomo, capace di proiettarsi in modo efficace sulla scena politica internazionale. Sempre più è viceversa un satellite muto e passivo degli Stati Uniti, dei quali condividono la traiettoria discendente, per giunta in posizione subalterna, aggiogata come un bue coi paraocchi al carro del riarmo e della guerra, incamminata sulla strada senza uscita della crisi economica e sociale, con sullo sfondo il catastrofico scenario dell’apocalisse bellica nucleare.
In questo continente cieco e sprovvisto di un futuro che sia minimamente appetibile, le elezioni di ieri hanno registrato anzitutto la netta sconfitta di quelli che Moni Ovadia definisce giustamente gli “omuncoli” di Bruxelles. Personaggi privi di spessore e di capacità di elaborazione intellettuale autonoma, come Macron e Scholz, sono stati nettamente sconfitti. Soprattutto il primo che per risollevare le sue grame sorti elettorali aveva agitato negli ultimi giorni in modo patetico lo stendardo dell’escalation sperando evidentemente che la sua caricaturale rievocazione della grandeur di altri tempi avrebbe solleticato gli istinti nazionalisti dei francesi.
Ma le frustrazioni di questi ultimi hanno alimentato invece la resistibile ascesa della signora Le Pen. Discorso analogo va fatto, mutatis mutandis, per l’amorfo Scholz, che paga anche lui la sua natura di docile servo degli Stati Uniti, sempre pronto ad assecondarne ogni mossa e ogni richiesta. Le destre emergono in modo prepotente nei maggiori Paesi europei, ma non è chiaro quali ne saranno le scelte di fondo, a parte la ben nota strumentalizzazione dei sentimenti di ostilità nei confronti dei migranti.
Giorgia Meloni, che conferma l’onda lunga dei suoi consensi, ha dimostrato la piena conciliabilità tra destra, atlantismo ed europeismo deteriore, e quindi si candida come punto di riferimento per le altre destre emergenti, in primo luogo Rassemblement National e Allianz für Deutschland, ma non le sarà certo facile svolgere tale ruolo egemone in una situazione internazionale in forte movimento, caratterizzata dal persistere dell’offensiva russa in Ucraina e dal definitivo sfaldamento del governo fascista del genocida Netanyahu, in un contesto globale segnato dalla crisi irreversibile dell’Occidente e dall’emergere di un mondo multipolare.
In Italia segnalo il buon successo di Alleanza Verdi Sinistra al cui interno appare molto positiva l’elezione di Ilaria Salis: auspico che si affermi una linea in netta discontinuità con le tendenze guerrafondaie di parte dei Verdi europei, specialmente dei tedeschi, nettamente sconfitti anch’essi insieme a Scholz.
Particolarmente doloroso, anche se previsto, il flop di Pace, Terra e dignità che – a mio avviso – sconta la natura fortemente di vertice dell’operazione da cui è nata e l’incapacità di saldare la fondamentale tematica della pace con una più ampia e complessiva critica materiale della società capitalistica. La scelta di parte dell’elettorato di premiare il Pd risponde d’altronde alla preoccupazione di contrastare le destre facendo confluite i propri voti sul più forte partito di opposizione anche a prescindere dai contenuti concreti delle sue politiche.
Ma il dato più importante su cui riflettere è però il crescente astensionismo che conferma, allargandolo ulteriormente il distacco tra politica e grandi masse. Occorrerà ripartire da questo dato e dai bisogni insoddisfatti della grande maggioranza del popolo italiano per costruire la vera alternativa che si rivela sempre più necessaria ed urgente per contrastare i processi di emarginazione sociale, impoverimento economico e militarizzazione in atto.
Ciò dovrà avvenire tenendo sempre più presente la tendenza inevitabile della Meloni e dei suoi accoliti, forti di un consenso che resta fortemente minoritario rappresentando un quarto circa del popolo ma viene presentato dai media dominanti come egemone, a impugnare in modo sempre più sfacciato il manganello e l’arma della repressione.
La sfida dell’alternativa si pone del resto anche e soprattutto sul terreno europeo, nella consapevolezza che solo la ricostruzione di una sinistra che sia al tempo stesso radicale negli obiettivi e radicata tra le masse potrà restituire il futuro al nostro continente in decadenza.