L’unica buona notizia per entrambi è che anche l’altro sia rimasto fuori dal Parlamento Europeo. Il resto è un fallimento, così netto che Matteo Renzi e Carlo Calenda chinano il capo e ammettono il ko. Ha perso loro famiglia europea Renew Europe, ha subito una scoppola storica il loro dante causa Emmanuel Macron, la soglia di sbarramento è rimasta un miraggio per Stati Uniti d’Europa e Azione, sono evaporati centinaia di migliaia di voti rispetto alle politiche di due anni fa. Un disastro, una sconfitta su tutta la linea.

“Niente, è andata male”, si è affrettato a dire Renzi in piena notte prima di un flusso di coscienza nel quale non è mancata la stoccata all’ex alleato. “Pesa – ha scritto poco prima delle 4 su X – l’assurda rottura del Terzo Polo: potevamo avere sette parlamentari europei riformisti, insieme. E invece sono zero. Che follia”. L’altro ha ribattuto: “Ho cercato di avere un progetto politico, ma Bonino fa partiti con nessuno e Renzi lo fa per sfasciarlo. Ma io non voglio attribuire ad altri le responsabilità”. Il solito refrain ormai spompo che non sposta i numeri di un centimetro.

La lista Stati Uniti d’Europa – che Renzi ha tirato su con +Europa alla caccia del 4 per cento – ha raccolto 874.535 preferenze fermandosi al 3,76%. Non sono bastati neanche i quasi 200mila voti al leader di Italia Viva per superare lo scoglio certificando che, questa volta, il numero da circense della politica non è riuscito. Azione si è fermata un passetto più indietro: 777.775 elettori convinti, il 3,35% di chi ha deciso di andare ai seggi. In totale fanno 1,65 milioni di voti, in ogni caso assai meno dei 2,18 raccolti (senza contare i quasi 800mila di +Europa, che corse da sola) alle politiche del 2022 quando Renzi e Calenda si misero insieme immaginando che quell’alleanza elettorale sarebbe stata la pietra angolare della casa riformista.

Come è finito il progetto è questione nota a tutti, gli insulti e gli sgarbi che ne sono seguiti anche. Ora il flop nelle urne ha così fiaccato entrambi da indebolirne perfino la battaglia verbale. Semplicemente, ognuno per la sua strada: “Il nostro elettorato è incompatibile con quello di Renzi e quelli di +Europa hanno lasciato a terra il 40% degli elettori che avevano prima”, è stato il massimo slancio di Calenda, che alle precedenti europee era stato eletto a Bruxelles con il Partito democratico grazie a 279.783 voti. Sabato e domenica ne ha raccolti quasi 200mila in meno.

Eppure erano arrivati alle urne gasati. Si dicevano certi – copyright vario – che i riformisti non avrebbero votato per il Pd di Elly Schlein diventato “paragrillino” e che esistesse uno “spazio straordinario al centro” grazie alla cementificazione dell’asse Pd-M5s e all’ancoraggio di Forza Italia a Lega e Fratelli d’Italia. Il renziano Luciano Nobili, più realista del re, il 29 marzo postava un sondaggio che accreditava Stati Uniti d’Europa tra il 5 e il 7 per cento: “Io dico che possiamo fare di più e che saremo la sorpresa delle europee”. La verità l’aveva svelata già a marzo un vecchio democristiano come Clemente Mastella, al quale Renzi aveva bussato per racimolare qualche decimale: “Si teme di non arrivare al 4 per cento”. È andata esattamente così, mentre proprio i dem e i berlusconiani hanno dimostrato di godere di buona salute.

Eppure gli ex alleati ce l’hanno messa tutta, anche spendendo in robuste di campagne di sponsorizzate sulle piattaforme di Meta e di Google. Negli ultimi novanta giorni Renzi e Italia Viva hanno investito quasi 150mila euro in annunci e push dei post, mentre Calenda e Azione si sono fermati a circa 40mila euro. Soldi e sogni in fumo. E ora? Renzi – che lunedì mattina si è dovuto sorbire gli sfottò di Ignazio Marino, l’ex sindaco di Roma defenestrato in un raro momento di scarso garantismo – è rimasto sul vago, Calenda è invece tornato subito a strizzare l’occhio al Pd.

Sembra passata una vita dall’inverno del 2022 quando i due annunciarono la federazione dei rispettivi partiti. Doveva essere l’inizio di un cammino, è rimasto l’unico passo prima del naufragio. Quel giorno – era il 4 dicembre, una data che gli porta sempre parecchia sfortuna: referendum, do you remember? – Renzi guardò alle Europee dello scorso week end come alla prima verifica elettorale e vaticinò: “Nel 2024 noi primo partito e Meloni a casa”. È andata precisamente al contrario.

X: @andtundo

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