Destra a valanga, ma non travolge i partiti moderati. Anzi, la ‘maggioranza Ursula‘, quella composta da Partito Popolare Europeo, Socialisti, Renew Europe e Verdi, è più forte che mai. Complice l’exploit del Ppe, che adesso si appresta a diventare il grande manovratore delle trattative per le nomine nelle istituzioni, e il fatto che, nonostante la tendenza calante in molti Paesi d’Europa e lo scandalo Qatargate, i Socialisti abbiano retto. Dati che hanno contribuito a fermare il crollo in casa dei liberali, dovuto soprattutto allo schianto di Emmanuel Macron, doppiato da Rassemblement National di Marine Le Pen, e ai risultati pessimi dei Verdi.
La ‘maggioranza Ursula’ sempre più azzurra
Così la coalizione di partiti tradizionali e moderati resiste e anzi si rilancia, secondo i dati ancora parziali. E lo fa sotto la bandiera del Ppe che, adesso, farà la voce grossa in sede di trattative, con 186 seggi (+10 rispetto al 2019), 11 capi di Stato e di governo che siedono nel Consiglio europeo e i tre capi di governo più votati d’Europa, ossia il polacco Donald Tusk, il croato Andrej Plenković e il greco Kyriakos Mītsotakīs, quest’ultimo però in calo di circa 10 punti rispetto alle ultime Politiche.
Tengono anche i Socialisti. Nonostante il tonfo pesante di Olaf Scholz in Germania, dato sotto anche all’estrema destra di Alternative für Deutschland, reggono, seppur dietro ai Popolari, in Spagna, sono ancora alti in Portogallo e, soprattutto, rinascono in Francia e ottengono risultati che non si vedevano da anni in Italia col Pd. Così, al momento, perdono cinque scranni (134). Se a questi si aggiungono gli 79 rappresentanti dei liberali di Renew (in calo di ben 23 seggi) ecco che la maggioranza è servita: 399 seggi sui 361 necessari. Una maggioranza forte? Non proprio, dato che andrebbe sempre contata una quota del 10-15% di possibili franchi tiratori su nomine e singoli dossier, ma che può contare sull’appoggio alternato dei Verdi, coi quali si consumerà inevitabilmente una rottura per la retromarcia sulle politiche ambientaliste, e soprattutto di una parte dei Conservatori. Giorgia Meloni, ad esempio, che cerca di accreditarsi sempre più in Europa, può far valere i suoi 24 seggi circa su temi che la accomunano alle formazioni centriste, come la guerra in Ucraina, le posizioni atlantiste, lo sviluppo del settore della Difesa, la necessità di rivedere le ferree linee guida del Green Deal. Per la leader di Fratelli d’Italia sarebbe l’ultimo step da compiere per togliersi di dosso l’ombra del fascismo e confermarsi a capo della destra conservatrice europea.
La destra che avanza
Anche se un’alleanza a destra come sognavano Tajani, Weber, Meloni, Orban e Le Pen sembra difficile da mettere in piedi, il dato dei partiti nazionalisti rimane impressionante. In Germania AfD è pronta a sorpassare i Socialisti al governo e costringerà il cancelliere a una riflessione sulle proprie dimissioni. In Francia Le Pen strapazza Macron e lo doppia. Meloni, come detto, vola appena sotto il 30% e il Pis polacco, seppur secondo partito, si mantiene ampiamente sopra il 35%. La conseguenza sono che i Conservatori europei guadagnano 4 seggi e salgono a 73, mentre Identità e Democrazia ne prende addirittura 9 e va a 58. Sembrano numeri poco impressionanti, ma manca un nome all’appello: quello di Viktor Orban, al momento tra i non iscritti, pronto a entrare in uno dei gruppi della destra col suo pacchetto da 11 seggi e una poltrona al Consiglio Ue. Il Consiglio, appunto: è qui che le destre, con Meloni, Orban e, probabilmente, i prossimi leader belgi e francesi, potranno far sentire il loro peso.