di Simonetta Lucchi

Esiste un esercito, che combatte. Fatto di uomini, e di donne. Le soldatesse dell’esercito israeliano. C’è chi rischia, sempre, di più. La coscrizione femminile in Israele è limitata alle sole donne ebraiche e il servizio di leva dura 24 mesi. Si ha la fortuna, come donne, come madri, di vivere altrove, al di là di ogni orrore della guerra. Senza negare le sofferenze di poveri innocenti di ogni parte, sono le prime vittime, sempre e comunque, dei conflitti.

Esiste una ragazza di vent’anni. Nata in Cina con passaporto israeliano. Noa è diventata un simbolo: era stata rapita al festival musicale Nova, vicino alla comunità meridionale di Reim, come tanti altri giovani, come gli altri tre liberati insieme a lei. Vittime di un massacro e di un rapimento insensato e violento. Per Noa c’è stato l’abbraccio con il padre Yaakov dopo le ore della liberazione. Lacrime di gioia e di ansia. Poi il trasferimento in un altro ospedale, sempre a Tel Aviv. È lì che si trova anche la mamma Liora, ricoverata per un tumore al cervello al quarto stadio.

Esistono dei diritti. All’insegna di “Non puoi liberare la terra senza liberare le donne”, le manifestazioni delle donne a Betlemme il 31 agosto 2019, ma registrate anche da Haifa a Ramallah, da Israele a Gaza, non hanno avuto seguito.Vittime di una società con una fortemente patriarcale, ma anche di leggi che rendono difficile condannare i responsabili di crimini commessi nei loro confronti: i diritti delle donne palestinesi sono stati calpestati costantemente.

Israa Ghareb era stata uccisa in un letto d’ospedale a Beit Sahour, in Cisgiordania, dove si trovava a causa delle botte ricevute dal fratello e dai cugini. La colpa della giovane di 21 anni era quella di essersi rifiutata di sposare un cugino, di aver scelto il proprio fidanzato e di averne pubblicato sui social alcune foto. Dopo questo ennesimo episodio, le piazze si erano riempite. L’autorità ha vacillato, arrivando a promettere migliorie.

Ma per difendere l’onore, si è ucciso anche in Israele, in particolare all’interno delle comunità arabo israeliane. Secondo la polizia, quasi il 50% delle donne uccise nel Paese l’anno precedente erano arabe, nonostante gli arabo israeliani fossero solo il 20% del totale. All’interno di Israele la parità di genere è stata ufficialmente garantita a partire dalla costituzione del 1948; questo ha permesso alle donne, anche arabo- israeliane, di partecipare da subito attivamente a tutte le sfere della vita pubblica del paese.

Ma l’attuale conflitto non può che aggravare drammaticamente problemi già esistenti: secondo quanto riportano gli osservatori, mentre la maggior parte degli uomini sia a nord che a sud di Gaza hanno abbandonato le loro case temendo di essere arrestati per il sospetto di essere membri o simpatizzanti di Hamas, le donne sono costrette a installare da sole le proprie tende o a dover contrattare con carpentieri che si stanno arricchendo grazie all’attuale crisi.

La guerra degli uomini: le sofferenze delle donne. Le donne che non possono partorire, i bambini e neonati con loro. E la causa palestinese non è esattamente una causa femminista, come sostengono membri dell’Association of women’s action for training and rehabilitation (AOWA). Semmai, giusta causa è sostenere i diritti delle donne e di tutti, in una società repressiva e intollerante. Esistono dei sentimenti, che muovono a pietà indipendentemente dalla parte del mondo in cui si ha avuto la fortuna di nascere: un abbraccio a Noa, che ora potrà nuovamente parlare la sua lingua. E anche a sua madre.

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